Trent’anni dopo l’uscita dell’acclamatissimo film di Jonathan Demme Il Silenzio Degli Innocenti, ispirato all’omonimo romanzo di Thomas Harris, su CBS approda Clarice, sequel del film e a sua volta ispirata ai romanzi.
Al timone ci sono Alex Kurtzman e Jenny Lumet, che avevano lavorato insieme a diversi progetti del mondo Star Trek come Discovery e Picard.
La storia di Clarice Starling riprende nel 1993, un anno dopo la morte di Buffalo Bill e il complicato rapporto tra la protagonista e il cannibale Hannibal Lecter (che per ragioni di copyright non può essere raffigurato o nominato). Clarice viene convocata dal procuratore generale degli Stati Uniti, nonché madre di Christine, la ragazza salvata da Clarice durante la cattura di Bill, e viene assegnata a un’unità speciale dell’FBI che si occupa di crimini piuttosto violenti.
A quanto pare c’è un nuovo serial killer in giro, alcune donne sono state uccise brutalmente, e sta a Clarice e i suoi colleghi prendere il colpevole. Il caso si rivela fin da subito più complicato del previsto ma la stampa preme per avere risposte.
Rebecca Breed (Pretty Little Liars, The Originals) fa un buon lavoro nei panni di Clarice, a partire dal suo riconoscibilissimo accento, nonostante il materiale che le viene dato non sia dei migliori. La serie, anche appoggiandosi a riferimenti diretti al film di Demme, non riesce a guadagnare la stessa tensione che caratterizza la pellicola.
Clarice risulta infatti piuttosto piatto e tolte le citazioni all’originale potrebbe benissimo calarsi nel palinsesto televisivo sotto le spoglie di un qualsiasi procedural, completo di tutti i cliché del caso e di eccessiva esposizione (si chiamano TV shows, not TV tells!).
I personaggi sono alquanto blandi e stereotipati, la stessa Clarice viene dipinta come una vittima, emotivamente instabile sul lavoro, poco affidabile, tutti tratti legati solitamente a personaggi femminili e che finora non erano contemplati nelle altre versioni.
Per arrivare a questa versione di Starling infatti si parte da un finale diverso, non da una chiusura ma da un qualcosa che è ancora più che aperto, come dimostra la scena tra Clarice e Christine al telefono (una delle poche in grado di ritrovare un po’ dell’atmosfera di costante tensione creata dal film).
Clarice è l’unica donna in un team di 5 agenti e le situazioni connotate dalle dinamiche di genere sono diverse e sarebbe interessante esplorarle, collegandole a quelle che si vengono a creare tra le vittime e i carnefici dei casi che si trovano a risolvere.
Quello che ci possiamo aspettare dal resto della stagione, e da quelle successive, sempre se ci saranno, è già piuttosto chiaro. Una trama verticale per ogni episodio (il caso della settimana, insomma) e una trama orizzontale overarching (ovvero le vicende di tutti i personaggi nel corso di un’intera stagione, legate a questioni personali o casi che si prolungano nel tempo). Quello che potrebbe fare la differenza sono i casi effettivamente trattati e lo sviluppo dei personaggi, che si spera diventino più interessanti di una frittata della mensa scolastica.
Veniamo alla domanda che da il titolo a questa recensione: Era davvero necessario?
Probabilmente no, così come non lo è nell’80% dei casi di remake, reboot o prodotti ispirati a opere famose. Ormai da diversi anni siamo nel pieno di un trend nostalgico che ci ha portato innumerevoli film e serie tv collegate a loro predecessori più o meno indirettamente e che puntano molto al connubio tra novità e nostalgia, in modo da attirare un nuovo pubblico che potrebbe non conoscere la storia e allo stesso tempo incuriosire chi l’ha conosciuta negli anni.
I rischi però sono tanti, dalle inevitabili comparazioni al dovere di portare qualcosa di nuovo alla storia per non essere ripetitivi e senza qualcosa da dire.
Non sono sicura che Clarice rientri nella categoria di quelli che ce l’hanno fatta.
Non si sa ancora quando Clarice debutterà in Italia, ma vi terremo aggiornati!
di Elvira Bianchi