Il 18 agosto esce nelle sale “Me contro te – il mistero della scuola incantata“, seconda pellicola dei Me contro Te in cui ritroveremo Antonella Carone nei panni di Perfidia, personaggio grazie al quale l’attrice è ufficialmente entrata nel novero dei cattivi del cinema per ragazzi. Su La voce dello schermo abbiamo intervistato Antonella, che ci ha presentato il film e gli sviluppi legati al suo personaggio, ha ricordato la sua brillante interpretazione in “Spaccapietre” al fianco di Salvatore Esposito e raccontato altri curiosi aspetti riguardanti la propria carriera.
Salve Antonella. Benvenuta su “La voce dello schermo”. Dal 18 agosto ti vedremo al cinema nel film “Me contro te – Il mistero della scuola incantata”. Presentaci un po’ il film e il tuo personaggio?
Ciao a voi! In questo secondo film dei Me contro Te, vedremo gli idoli dei bambini, Luí e Sofí, insidiati ancora una volta dalle smanie di potere del Signor S e della sua assistente Perfidia. Ma rispetto al primo film, qui la trama si fa più ricca anche perché si lega ad un filone fantasy. La storia di svolge all’interno di una scuola che nasconde importanti segreti e della quale, a inizio film, il mio personaggio si finge preside: si tratta di un piano ben studiato da “S” (di cui si svelerà l’identità), per annientare i Me contro Te una volta per tutte. Il tutto attraverso ricerche e inseguimenti per luoghi incantati dove regnano allucinazione e magie.
Com’è stato per te confrontarti con un pubblico giovane e quanto è stato stimolante interpretare una “cattiva” come Perfidia?
Confrontarsi col giovane pubblico è sempre un’operazione interessante per un attore. In primis perché si tratta del pubblico più sincero e meno sovrastrutturato. Se non sei credibile, se non catturi la sua attenzione, un bambino ti “molla” alla prima occasione. Inoltre, interpretare un personaggio cattivo ti pone poi di fronte ad altri interrogativi come, ad esempio, stabilire la “misura” della cattiveria. Nel nostro caso l’obiettivo era di non spaventare ma, al contempo, conservare l’autorevolezza e la temibilità dell’antagonista. In passato ho avuto diverse esperienze recitando nel teatro ragazzi e ogni volta mi rendo conto di quanta responsabilità si abbia nei confronti del pubblico del domani.
Nella vita ci sono situazioni che ti fanno diventare “cattiva”? Quali?
Tendenzialmente sono una persona con un forte autocontrollo. Non amo i contrasti e per questo evito di alimentarli. Ma quando il vaso è colmo e non è più possibile abbozzare, beh, lì viene fuori la Perfidia che è in me! Tra ciò che mi fa diventare “cattiva”, c’è sicuramente l’ingratitudine della gente.
Di recente ti abbiamo vista anche in “Spaccapietre”, al fianco di Salvatore Esposito. Raccontaci di questa esperienza?
In Spaccapietre interpreto Angela, una giovane moglie e madre che muore di fatica nei campi. L’ambientazione è quella delle campagne nostro sud su cui si annida l’ombra del caporalato. Un piccolo ruolo, il mio, da cui si dipana tutta la vicenda, dal momento che Giuseppe (Salvatore Esposito) fa al figlio un’assurda promessa: un giorno riavrà sua madre. Per il ruolo di Angela ho letto molto, volevo conoscere meglio questa brutta realtà che ogni tanto sale agli onori della cronaca e ho scoperto con amarezza quanto da vicino ci riguardi, quanto quelle donne siano le nostre madri, sorelle, le vicine di casa, donne italiane che per arrotondare i bilanci familiari lavorano anche 13/14 ore al giorno per una ventina di euro.
Qual è stato il ruolo più difficile che hai interpretato e perché?
Ciò che rende un ruolo complicato è quanta vicinanza col tuo vissuto riesci a stabilire. A teatro mi è capitato di interpretare una ragazza più giovane della mia età, completamente alienata, apatica e senza ambizioni, con un discutibile senso dell’umorismo che viene abbordata in un sudicio pub. È il personaggio di Deb in Love and Money di Dennis Kelly che ho portato in scena con la regia di Marinella Anaclerio. Niente di più lontano da me! Panico alla prima lettura. Poi, con un lavoro in profondità e un’ottima direzione, il demone di qualsiasi personaggio riesce ad impossessarsi di te. L’importante è volergli bene ed essere disposti ad accoglierlo.
Ci sono altre esperienze che vorresti ricordare e che porti nel cuore?
La mia prima volta sul palco grandissimo del Teatro Petruzzelli. Era la prima assoluta di un nuovo sing-spiel destinato ai ragazzi. Ed era la prima volta che mi esibivo in un tempio della lirica con l’orchestra al completo. Ricordo ancora il groppone in gola non appena si sono spente le luci di sala e l’orchestra ha cominciato ad accordarsi. Anche con qualche anno di esperienza alle spalle, mi sentivo come un’attrice alle prime armi.
Hai iniziato giovanissima la tua carriera da attrice. Com’è stato per te crescere sul set?
Ho sperimentato sulla mia pelle quanto si impari del set semplicemente praticandolo, osservando gli altri, capendo le gerarchie dei ruoli e, talvolta, anche sbagliando. Rivedersi sullo schermo poi è una prova impietosa. Devi rompere innanzitutto la reticenza iniziale e poi accettarsi per quello che si è fatto. Non si può tornare indietro ma solo fare tesoro degli errori.
Hai degli aneddoti particolari dal set che vorresti condividere con i nostri lettori?
Non posso farlo perché andrei inevitabilmente a spoilerare la trama del nuovo film. Vi dico solo che molte cose divertenti che accadono nel backstage poi finiscono nel film. Le scene si arricchiscono continuamente di dettagli comici nati da qualche frase detta tra un ciak e l’altro. È bello quando sul set si vive questa giocosità. Credo ci aiuti nella resa di personaggi così “su le righe”.
Dove ti vedremo prossimamente? Hai altri progetti che vorresti presentarci?
Prossimamente tornerò a teatro. In questi giorni si sta ridefinendo la riprogrammazione di tournée saltate prima del primo lockdown. Vi terrò aggiornati!
Andiamo alla nostra domanda di rito: questo portale si chiama “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa lasciarsi portare in un universo emozionale fatto di storie che qualcuno sente l’esigenza di raccontare, perché nel racconto la vita si ferma e noi possiamo comprenderla meglio. E questo vale sia per chi dà voce, sia per chi la ascolta. Lo schermo è una delle modalità, forse la più completa, con cui questa condivisione si realizza.
Di Francesco Sciortino