“Mare Fuori” è diventato un vero e proprio fenomeno televisivo. La terza stagione ha registrato, su Rai Play, più di 105 milioni di visualizzazione e oltre 45 milioni di fruizione online. Numeri da urlo per una serie che è partita sottovoce, con ascolti non entusiasmanti durante la prima stagione, e arrivata a non avere più confini, attirando l’attenzione di altri Paesi pronti ad assicurarsi un loro remake.
Abbiamo parlato del successo della serie con Vincenzo Ferrera, interprete dell’amatissimo Beppe, che ci ha confidato gli aspetti che ama del suo personaggio e analizzato quanto sia stata sorprendente l’attenzione che la serie ha suscitato nei confronti del pubblico. L’attore ha anche ripercorso le tappe fondamentali della sua carriera da attore, dal teatro con Carlo Cecchi e con Toni Servillo fino ad arrivare alla serie “Sopravvissuti”, andata in onda di recente. Questo e altro nella nostra intervista a Vincenzo Ferrera. A voi.
Salve Vincenzo. Benvenuto su “La voce dello schermo”. Partiamo da Beppe di “Mare Fuori”, quali aspetti ti piacciono di lui?
Salve a tutti. Grazie. Di Beppe amo la tenerezza e l’ingenuità. È un uomo pieno di pregi e fa una tenerezza incredibile anche a me che lo interpreto. Mi piacerebbe molto essere come lui.
Cosa pensi del successo della serie?
Siamo contenti che sia scoppiato questo finimondo. Non se lo aspettava nessuno e siamo molto orgogliosi di un prodotto che sapevamo fosse recitato benissimo, che avevamo realizzato con grande impegno e questo successo ha ripagato i nostri sacrifici.
Il successo di “Mare Fuori” è singolare. Durante la prima stagione in pochi si accorsero del potenziale della serie. Non fa un po’ di rabbia questa attenzione tardiva?
Adesso è diventata la serie più vista di sempre. Fa un po’ rabbia perché poteva essere cancellata, non avendo fatto grandissimi ascolti su Rai Due. Sarebbe bastato un punto in meno di share e sarebbe stata cancellata. Fa un po’ di rabbia perché, a volte, ci sono dei prodotti di cui molti potrebbero non accorgersene. Fortunatamente, nel caso di “Mare Fuori”, se ne sono accorti i ragazzi e siamo ben contenti che sia diventata una serie da record. Pazienza, la delusione iniziale non doveva esserci, ma ora siamo felicissimi.
Una tematica che ricorre spesso è il rimpianto, soprattutto in Beppe e in Kubra. Secondo te quale messaggio c’è dietro questo lasciare in sospeso le cose?
Capita nella vita di tutti i giorni e a tutti i noi. Non è una regola, ma purtroppo quando si rimane con il rimpianto si prova sempre un grande dolore. Penso che nella vita sia meglio non lasciare nulla in sospeso.
La serie fa riflettere su quanto gli adulti influenzino la vita dei figli. Secondo te i ragazzi cosa dovrebbero imparare da “Mare Fuori”?
I ragazzi sono stati spiazzati dal disagio giovanile. Grazie a questa serie si sono resi conto che ci sono dei ragazzi che vivono nelle carceri minorili e hanno avuto un senso di colpa nei confronti dei loro coetanei. Devono imparare che sono dei privilegiati, perché c’è gente che non nasce nelle stesse condizioni di molti di loro e che vivono, non per colpa loro, una vita orrenda. Alcuni che ce la fanno e altri no.
Le storie sono tutte inventate o c’è qualche personaggio da cui è stato preso spunto dai ragazzi di Nisida?
No, non sono tutte inventate. Credo che gli sceneggiatori abbiano preso spunto, per alcuni personaggi, da delle vicende realmente accadute, ovviamente romanzandole. Non ti saprei dire quale, ma non tutte le storie della serie sono inventate.
Ci sono aneddoti particolari che vorresti condividere con i nostri lettori?
Non ricordo aneddoti particolari. Posso solo dirti come siano cambiate, tra la prima e la terza stagione, le nostre facce. Ricordo quando abbiamo girato la prima stagione non c’era nessuno, mentre durante la terza c’erano trecento/quattrocento persone che, all’alba, venivano a vederci e che volevano entrare. Avevamo delle facce stupefatte.
Cos’è per te “’O Mar For”?
È la speranza, la possibilità di salvare una persona e coltivare il suo lato intimo e buono. Qualcosa che ti dà la voglia e la speranza di sopravvivere.
Da Palermitano, com’è stato per te cimentarti con il mondo napoletano?
Ho cominciato a lavorare a teatro da ragazzino, a Napoli, e fondamentalmente sono di adozione napoletana. Sono abituato a quel contesto e Napoli è sempre un posto in cui ritorno volentieri.
Alla Sicilia secondo te cosa manca per raggiungere quei livelli?
A livello teatrale alla Sicilia manca tanto, dal punto di vista cinematografico, invece, ci sono tante produzioni interessanti. È una terra che ha poco da dare a un giovane che vuole iniziare a fare l’attore. Un ragazzo che vuole intraprendere questo mestiere deve frequentare scuole che si trovano fuori, come a Roma o Milano etc. La Sicilia, da questo punto di vista, ha delle carenze enormi.
C’è qualche speranza secondo te in futuro per cambiare la situazione?
Sinceramente non penso. È pura retorica. Non vedo speranza se la politica non comprende che c’è bisogno anche di cultura, di qualcosa che possa dare anche la possibilità e degli strumenti ai giovani di poter fare un mestiere del genere, non si troverà mai una soluzione. Non credo ci sia questa voglia.
Un’altra esperienza che ti ha riguardato di recente è stata “Sopravvissuti”. Raccontaci di com’è stato per te far parte di questo set…
È stata una serie internazionale e una scommessa. Abbiamo lavorato sei mesi, su una barca, all’interno di un capannone. Siamo dimagriti tutti dieci chili per farla e ci ha messo in contatto con attori stranieri. È stata un’esperienza difficilmente ripetibile, perché non capita tutti i giorni di lavorare a questo tipo di produzioni. È stato bello girare a Genova, che è una città meravigliosa.
Si è chiuso un cerchio o si farà una seconda stagione?
Non lo sappiamo, su Rai Uno la serie non ha dato i risultati che si speravano ma non so se ci sarà l’opportunità di girare una seconda stagione. È possibile, ma non sappiamo molto a riguardo.
Tornando indietro alle tue esperienze della tua carriera, quali sono state le tappe fondamentali?
Il teatro con Carlo Cecchi, con Servillo e sicuramente “Mare Fuori”.
Dove ti vedremo prossimamente?
Sto girando, a Potenza, un film sul caso di Elisa Claps per la regia di Marco Pontecorvo. La storia di questa ragazza uccisa e il cui corpo è stato ritrovato sedici anni dopo nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza.
Se potessi rubare un ruolo a un tuo/una tua collega quale sceglieresti?
Ruberei probabilmente il Commissario Montalbano perché credo sarebbe nelle mie corde e mi divertirei un sacco a interpretarlo. L’ho sempre pensato.
Questo portale si chiama “La Voce Dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
È una magia. Lo spettatore si immerge nella storia e ascolta ciò che avviene attraverso uno schermo piatto e si fa trascinare all’interno di una favola.
Di Francesco Sciortino