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Intervista a Giulia Bevilacqua: “‘Pare Parecchio Parigi’ fa riflettere su come superare le incomprensioni familiari” L'attrice romana racconta l'esperienza sul set del nuovo film di Leonardo Pieraccioni e svela alcuni retroscena riguardanti il proprio lavoro.

Feb 21, 2024
*Foto di Mirko Morelli

Giulia Bevilacqua è una delle attrici più amate e apprezzate del panorama nazionale. L’abbiamo ammirata al cinema, nelle scorse settimane, in “Pare Parecchio Parigi”, nuovo film di e con Leonardo Pieraccioni e la vedremo prossimamente in tv nelle nuove puntate di “Vincenzo Malinconico – Avvocato d’insuccesso”. Abbiamo avuto il piacere di intervistarla su “La voce dello schermo” per parlare della recente esperienza al fianco di Leonardo Pieraccioni, Chiara Francini e Nino Frassica. Giulia ci ha confidato diversi aneddoti dal set e cosa abbia amato dell’interpretare Ivana, una donna sognatrice, determinata e alle prese con alcuni nodi familiari da sciogliere. Ma non è tutto, l’attrice ci ha anche offerto importanti spunti di riflessione sulla televisione e il cinema dei nostri giorni, sull’approcciarsi alla comicità toscana e ha infine ricordato gli anni al X Tuscolano, in “Distretto Di Polizia”, quando interpretò per diverse stagioni Anna Gori, un personaggio complesso in una delle serie che hanno fatto la storia della televisione italiana. A voi…

Salve Giulia, benvenuta su “La voce dello schermo”. In queste settimane ti abbiamo vista al cinema in “Pare Parecchio Parigi”. Com’è stato lavorare con Leonardo Pieraccioni?

Salve a tutti. Grazie. Lavorare con Leonardo è stata un’esperienza bellissima, è un film che mi ha conquistata sin da subito, nel momento in cui ho letto la sceneggiatura. È stato un connubio di elementi che si sono incastrati perfettamente, ho scoperto un uomo gentile, generoso, simpatico, ironico e io, lui e Chiara (Francini ndr.) abbiamo passato tantissimo tempo assieme, gomito a gomito. Tra le tante pause, tra un ciak e l’altro, è diventato normale e spontaneo raccontarci, giocare, ridere e scherzare. È stata una bellissima esperienza, in più il film ha un grande valore perché racconta di rapporti familiari, dei nodi che esistono inevitabilmente in tutti i rapporti d’affetto, tra cose non dette e incomprensioni. “Pare Parecchio Parigi”, inoltre, si sofferma su quanto sia importante superarle e almeno parlarne rappresenta un grande passo in avanti per provare a scioglierle. È un film per i sognatori ed è liberamente ispirato a una storia vera.

Cosa hai amato di Ivana?

È un personaggio molto positivo, propositivo, solare, determinato, una donna imperfetta, come tutti, è un’eterna bambina, che non è cresciuta, molto passionale. Ha una piccola impresa di costruzione ma è anche una grande appassionata di teatro. I suoi operai sono anche i suoi colleghi sul palco e a cui chiederà di partecipare a questa assurda missione e di rendere il più possibile credibile questo viaggio a Parigi, che poi rimarrà dentro il recinto di un maneggio. Nel momento in cui decide di credere nella realizzazione del sogno del papà ce la metterà tutta per far sì che sia il più possibile credibile. È una donna concreta, fa tanto per realizzare il sogno del babbo e per dare entusiasmo ai fratelli, anche quando appaiono titubanti. È stato molto bello interpretarla e affrontare il rapporto con la famiglia e un viaggio che rappresenta un porto sicuro per loro, che hanno trovato un luogo in cui potersi aprire e raccontare quello che non si erano mai detti prima.

C’è un aneddoto dal set che vorresti raccontare?

È stato divertente l’inizio perché avremmo dovuto girare tutto nel maneggio e al perimetro attorno. Dopo due/tre ciak ci siamo resi che girare intorno a quell’area con la macchina ci avrebbe portato a sentirci come un criceto su una ruota. Con il passare del tempo ci siamo resi conto che era necessario uscire dal maneggio e spostarci anche nelle aree limitrofe. Ci sono stati tantissimi momenti esilaranti, come le improvvisazioni di Nino (Frassica ndr.) e il sorprendersi di fronte a una battuta inaspettata, nonostante interpretasse un personaggio severo e duro. I momenti a cui sono più legata sono quelli quando, tra un ciak e l’altro, io e Chiara cercavamo di coinvolgere Leonardo che, inspiegabilmente, si è molto lasciato andare, nonostante sia un po’ riservato. Ci siamo fatte raccontare sue esperienze di vita del passato e, come due vere sorelle, lo sfottevamo in toscano dandogli del “bischero” o della “fava”.

Quanto pensi sia difficile far ridere o sorridere la gente al giorno d’oggi?

Credo che tutti noi abbiamo bisogno di leggerezza nel momento storico che stiamo vivendo, poiché ogni giorno apprendiamo notizie riguardanti tragedie immense. Abbiamo bisogno di ridere e la gente vuole vedere contenuti che possano fare sorridere. È sempre complicato perché è come se ci fosse un’aspettativa molto alta riguardo l’originalità, perché ci si aspetta sempre qualcosa di nuovo. Tuttavia, secondo me, la comicità più bella è quella spontanea e più la costruisci più diventa difficile far ridere. Più è vera, come quando una battuta esce spontanea e ti sorprende, più risulta efficace.

Di recente ti abbiamo vista in “Volevo un figlio maschio”, ne “Il Principe di Roma”, in “Ritorno al Crimine” e “C’era una volta il crimine”, cosa porti nel cuore di queste due esperienze?

Sono tutte esperienze importanti e ritengo che ogni set per me sia un’esperienza magica. Il mio lavoro è una sorta di “droga”, perché ho proprio bisogno di stare sul set, di viverlo attraverso il mio personaggio, con i miei colleghi, il regista, la troupe. In ogni esperienza c’è qualcosa che mi stupisce e mi arricchisce e ogni personaggio che ho interpretato finora mi ha regalato qualcosa.

Hai avuto modo di esplorare vari tipi di commedie e di confrontarti anche con registi e attori di regioni differenti. Hai trovato differenze tra i vari tipi di set in cui ti sei cimentata?

Credo che l’ironia tra le varie regioni sia profondamente differente. Mi sono dovuta cimentare per la prima volta con quella toscana e con il dialetto toscano e la trovo molto giullaresca, il dialetto è molto forte, mi sono molto divertita e mi è piaciuta tanto. Il concetto di far ridere, invece, rimane universale: puoi essere più affine a un tipo di ironia e meno a un’altra ma se alla fine la battuta fa ridere, se il tempo comico è giusto, se la scena racconta qualcosa di divertente, credo che non importi in che dialetto venga detta per suscitare la risata del pubblico. Per quanto mi riguarda amo l’ironia che gioca sul prendersi e prendere in giro, in maniera ovviamente bonaria.

*Foto di Mirko Morelli

Come pensi sia cambiato il mondo delle serie tv e del cinema e cosa pensi del cinema e delle serie tv di oggi?

È cambiato tantissimo. Ho cominciato circa vent’anni fa. I primi lavori che ho fatto sono stati “Grandi Domani” e “Distretto di polizia”, che erano girati in pellicola ed era profondamente diverso rispetto al digitale. All’epoca la pellicola aveva un costo, si poteva sbagliare poco, dopo ogni ciak dovevamo ricontrollare tutto, i tempi tecnici erano diversi rispetto a ora. La qualità credo dipenda da set a set. Ovviamente c’è una fruibilità più grande, ci sono tantissimi progetti, prima erano meno, con meno canali e adesso il rischio, secondo me, è quello di ripetersi. La necessità di produrre sempre di più porta, a mio parere, il rischio di creare prodotti che seguano sempre lo stesso filone. Quando apro una delle piattaforme ci metto sempre un’ora prima di scegliere cosa guardare, perché la scelta è talmente ampia che poi si opta in base al gusto, per registi e per sceneggiatori.

Uno dei prodotti televisivi più importanti di cui hai fatto parte è stato “Distretto di polizia”, una serie che ha fatto la storia della serialità degli anni 2000. Come ricordi gli anni passati al X Tuscolano?

Li ricordo come degli anni meravigliosi. Ero una ragazzina di ventitré anni, uscita dal centro sperimentale e con una voglia enorme di poter realizzare il sogno di fare l’attrice. Non avevo tante certezze, avevo appena finito “Grandi Domani”, che rappresentava più una scommessa per la televisione di quei tempi. Ricordo benissimo il provino per “Distretto di polizia” e l’ansia perché dovevo farlo bene perché era una serie amatissima, forse la più vista dei tempi, riuscivamo a ottenere il 40% di share, quasi impensabile in questi giorni. Aveva una grandissima qualità, con attori straordinari e una sceneggiatura e una regia fuori dal comune. Quando mi chiamarono per dirmi che mi avevano presa piansi dalla gioia, perché per me quello era un traguardo importantissimo. Far parte di quella squadra significava che valevo qualcosa e rappresentava per me l’aver guadagnato il diritto di potercela fare.

Cosa ti ha lasciato questa serie?

È stato per me un grande trampolino, ho imparato tantissimo, lavorando con grandissimi professionisti, e lì ho capito cosa significasse essere un’attrice. Poi ho avuto la possibilità di farmi conoscere dal grande pubblico, dagli addetti ai lavori e, dopo diversi anni di “Distretto”, quel ruolo iniziava a starmi stretto perché volevo fare anche altre esperienze e, girando in pellicola circa nove mesi l’anno, non avrei potuto incastrare altri progetti nei tre mesi restanti. A un certo punto, ho sentito la necessità di variare. Su quel set sono nati dei rapporti fondamentali, Claudia (Pandolfi ndr.) è ancora la mia più cara amica, la mia testimone di nozze e “Distretto di polizia” mi ha regalato tanto.

Se fossi una giornalista che domanda faresti a Giulia?

Forse le chiederei in che fase della mia vita sono e se sono felice. Risponderei che mi rendo conto sempre di più che sono una privilegiata, molto fortunata nel riuscire a fare della propria passione un lavoro. Non vedo l’ora di lavorare, di tornare sul set ma, allo stesso tempo, non è la mia vita vera che è quella con la mia famiglia e a casa. Mi sento molto fortunata e felice di quello che ho costruito. Sono in una fase in cui ho un po’ capito che ognuno si crea il proprio percorso per quello che è e ritengo di non aver investito tutta la mia vita in questo, nonostante sia la mia più grande passione. E forse è giusto così, perché se lo avessi fatto magari non avrei avuto l’opportunità di costruire tutto il resto.

Puoi dirci qualcosa sui prossimi progetti in cui ti vedremo? Ci sarai ne “Il Patriarca 2?

Sì, abbiamo iniziato circa due settimane fa “Il Patriarca” e giriamo fino a giugno. Abbiamo terminato le riprese della seconda stagione di “Vincenzo Malinconico – Avvocato d’insuccesso”, che quest’anno sarà guidato da un regista che amo particolarmente: Luca Miniero. È stata un’esperienza stupenda, interpreto un personaggio molto stimolante e molto divertente, abbiamo girato tra Salerno e Roma e andrà in onda il prossimo autunno.

Un tuo desiderio dal punto di vista lavorativo?

Recitare in un film con Paolo Virzì, che è uno dei miei registi preferiti, adoro le sue commedie perché hanno sempre il connubio tra sentimento, risata, malinconia, cinismo e romanticismo che sono legati tra loro. Mi piacerebbe davvero tanto lavorare con lui e su un personaggio a tutto tondo come i suoi, che hanno tanta sostanza e con dei mondi da esplorare sia drammatici che comici, anche perché la commedia non esiste se poi non c’è un risvolto malinconico.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Per me ascoltare la voce dello schermo è sempre un’esperienza emozionale importante. Trovo che, ad esempio, l’esperienza del cinema sia unica e irripetibile. Anche se vedi lo stesso film al cinema, per due volte, proverai sempre emozioni diverse. Lo schermo della televisione, ugualmente, se riesci a non distrarti è comunque un’esperienza catturante e immersiva. Davanti a uno schermo siamo come bambini a cui viene raccontata una favola o una storia. È ciò che mi ha affascinato quando ero bambina e che provo ancora adesso quando vedo un film o una serie.

 

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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