Dopo l’ottimo debutto della scorsa settimana, mercoledì 3 aprile andrà in onda, su Canale 5, la seconda puntata di “Vanina – Un vicequestore a Catania”, serie tv prodotta da Palomar e diretta da Davide Marengo che ha per protagonista Giusy Buscemi nei panni di un vicequestore in servizio alla squadra omicidi di Catania.
In occasione della messa in onda della seconda puntata, abbiamo intervistato Claudio Castrogiovanni, che nella serie interpreta Carmelo Spanò. Durante la propria carriera Claudio ci ha regalato interpretazioni in tantissimi prodotti di successo della nostra televisione e del nostro cinema, molte delle quali iconiche come quella di Luciano Liggio ne “Il Capo dei Capi” o Antonino Mangano ne “Il Cacciatore”. Le ultime sue performance, invece, hanno segnato un vero e proprio cambiamento di rotta per l’attore, che è riuscito a imporsi indossando vesti differenti da quelle in cui l’abbiamo visto in precedenza. L’abbiamo ammirato infatti in “Circeo”, nei panni dell’avvocato Rocco Mangia; in “Vanina” il suo ispettore capo Spanò sta convincendo il pubblico di Canale 5 e, infine, lo vedremo prossimamente nel film “Spiaggia di vetro”, diretto da Will Geiner, in cui interpreta un pescatore costretto a tornare a Messina in seguito a un dramma che lo riguarda. Questo e altro nella nostra interessante chiacchierata con Claudio Castrogiovanni…
Salve Claudio. Benvenuto su “La voce dello schermo”. Partiamo da “Vanina – Un vicequestore a Catania”, interpretare Spanò quali corde ti ha permesso di toccare?
Salve a tutti. Grazie. Mi ha permesso di toccare corde alle quali ho difficilmente accesso: la leggerezza, la capacità di ironia che si avvicina a come normalmente vivo la mia vita e la sensibilità ed empatia verso gli altri. Spanò è un uomo molto solido, una presenza molto forte e protettiva. È un aspetto che mi piace molto perché era ciò che mi ero prefissato nell’interpretarlo e la relazione con Vanina è simile a quella tra fratello maggiore e sorella.
Cosa hai amato di questa esperienza?
Sicuramente il poter girare a Catania, che è una protagonista della serie al pari degli attori, ha rappresentato tanto per me. Inoltre, il gruppo che si è creato con gli altri membri del cast, con il regista Davide Marengo e con il resto della troupe, ci ha permesso di lavorare in un ambiente quasi familiare. Realizzare un lavoro del genere, con questa semplicità, non è così usuale. Mi sento grato anche per questo motivo.
Dopo aver interpretato personaggi iconici ma negativi, come Liggio ne “Il Capo Dei Capi” o Antonino Mangano ne “Il Cacciatore”, finalmente interpreti un buono. Spesso in Italia c’è la tendenza a fare interpretare una tipologia di ruolo a un attore. Pensi sia accaduto anche a te?
Da qualche anno ho accolto le proposte che mi sono pervenute cercando un po’ di districarmi da una tipologia di ruolo in particolare. Può capitare che si venga identificati con un prototipo di un personaggio e dopo sta a te orientare le scelte. Il cambio di rotta che mi riguarda mi ha visto interpretare anche personaggi non siciliani, come accaduto in “Circeo”, in cui interpreto un avvocato romano, e altri ruoli che non avessero una connotazione buia e dark, come vediamo in “Vanina” e in “Spiaggia di Vetro”, in cui vesto i panni di un pescatore che deve fare i conti con un dramma capitatogli nella propria vita.
Come si riescono a sdoganare i luoghi comuni che riguardano i personaggi già interpretati per future interpretazioni?
Sicuramente non dipende soltanto dall’attore. I cliché e i tabù li approfondisco studiando molto il personaggio, cercando di non giudicarlo ed esplorandolo anche in maniera istintiva quello che lui sperimenta. Questo modo di fare permette di approcciarsi al personaggio senza valutarlo, non valutandolo ci si augura che non generi cliché.
Cosa dobbiamo aspettarci dai nuovi episodi di “Vanina”?
Non avevo ancora visto “Vanina” prima della messa in onda, l’ho vista in diretta e mi sono divertito. I gialli, il crime e la conoscenza più approfondita dei personaggi rendono la serie molto accattivante e offre allo spettatore un intrattenimento puro. È molto interessante e, se vogliamo, un po’ interattiva. Le persone con cui parlo mi espongono le loro teorie come se fossero investigatori.
Un’altra esperienza che citavi è stata quella in “Circeo”. Come si riesce a portare un messaggio positivo interpretando un personaggio negativo?
Non credo si possa fare. Io più che decidere prima che messaggio portare divento meccanismo di una storia che racconta qualcosa. Se tutti i pistoni, gli incastri e i cilindri non sono messi al posto giusto la macchina si inceppa. Porto la mia direzione in funzione a ciò che serve alla storia e non mi pongo di lanciare messaggi. Sono le storie all’interno delle quali mi trovo che lo fanno e attraverso il mio lavoro facilito una anziché un’altra direzione.
Tra cinema e tv, ricordiamo tre tappe fondamentali della tua carriera: “Il Capo dei Capi”, “La Trattativa” e “Il Cacciatore”. Cosa porti nel cuore di queste tre esperienze?
Sono tre esperienze incredibili. “Il Capo Dei Capi” è una serie che riguardo ogni tanto, anche vedendo spezzoni, e ne apprezzo la piena modernità perché, pur essendo stata realizzata diciassette anni fa, possiede un’estetica narrativa molto vicina alle serie di adesso. “Il Cacciatore”, invece, ne demarca l’entrata nell’estetica a tutti gli effetti più moderna. Lì ho conosciuto Stefano Lodovichi e Davide Marengo, che stanno lavorando a progetti che girano per il mondo, e ciò ti fa capire che forse non siamo così indietro in termini di qualità. “La Trattativa” è un progetto che è arrivato al Festival di Venezia, un film sociale, come si faceva ai tempi di Elio Petri, che c’era la necessità di fare e il fatto che fosse stato guidato da un gruppo di attori incredibile, come se fossimo una compagnia teatrale, condividendo prove e improvvisazioni, è una cosa che non accade molto spesso.
Tu sei siciliano, credi che l’immagine della Sicilia stia cambiando al cinema e in tv?
Si sta cercando di mostrare altri aspetti della Sicilia. Anche Ficarra e Picone, ad esempio, stanno aiutando tantissimo a veicolare un’immagine nuova attraverso le loro produzioni e si stanno consolidando anche come punto di riferimento produttivo. Ma anche “Spiaggia di Vetro”, il film di cui sono protagonista e che vedrete prossimamente, offre uno sguardo nuovo riguardo la Sicilia. Purtroppo, credo che indagare sugli aspetti negativi sia una tendenza che fa parte di tutto il mondo e abbiamo un elemento così forte che risuona. Ma, come dicevo al tempo de “Il Capo dei capi”, credo che dipenda dalla società, dalle famiglie e dalla scuola tradurre e aiutare a decodificare quello che gli spettatori non sono in grado di ascoltare o decifrare.
Riguardo “Spiaggia di Vetro”, cosa puoi dirci?
Sono terminate le riprese, è in fase di post produzione e credo che, prima dell’uscita nelle sale, andrà in giro per vari festival. Vanta un regista americano, Will Geiger, è prodotto da Indyca e non è presente nessuno di quei cliché a cui facevamo riferimento prima. Si racconta dello Stretto di Messina, della pesca del pesce spada, di un luogo mistico dove si fa il carbone come in tempi remoti e di posti meravigliosi che andrebbero conosciuti meglio. Io stesso che ho vissuto vent’anni a Messina, vivendo per un mese e mezzo di riprese in una casetta sul mare, sotto un pilone dello Stretto, mi sono reso conto che non conoscevo veramente questa magia che possiede.
Se fossi un giornalista che domanda faresti a Claudio?
Chiederei se è felice e risponderei che lo sono e che sono molto soddisfatto della mia vita. Sono molto più preoccupato e addolorato di ciò che succede attorno a me e di vedere le immagini di guerra. Forse per spirito di conservazione facciamo finta che non stia succedendo, ma aver visto “La zona d’interesse” mi fa capire quanto sia necessario risvegliare il nostro senso di ascolto verso l’altro.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa rievocare un ricordo. Quando ero piccolo, più o meno a sei anni, di pomeriggio avevo l’abitudine di andare al cinema con mia nonna materna circa tre volte a settimana. Ho visto tanti di quei film, di qualsiasi genere, e forse mia nonna si preoccupava pure poco di cosa andassimo a vedere! (ride ndr.). Era un tempo in cui si fumava in sala e lei mi faceva mangiare un gelato prima di entrare. Ricordo le voci dei doppiatori di quegli anni e la voce dello schermo mi rimanda inevitabilmente a quei tempi.
Di Francesco Sciortino