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Ven. Gen 3rd, 2025

Intervista a Marco Zingaro: “’Il Capitano Maria’ fiction molto umana. Vi racconto di quando recitai con Daniel Craig e con Dustin Hoffman”

*Fotografia di Alex Fine

La voce dello schermo ha intervistato in esclusiva Marco Zingaro, protagonista dal 7 maggio de “Il Capitano Maria”, la fiction con Vanessa Incontrada in onda in prima serata su Rai 1. Marco nella fiction interpreta Beppe, uno dei Patriarca, la famiglia criminale con cui dovrà vedersela Maria, il personaggio interpretato da Vanessa Incontrada. L’attore, che vanta un curriculum di tutto rispetto anche a livello internazionale, ha raccontato di quando recitò nel film “Spectre” di 007 e nella serie “I Medici”, al fianco di Dustin Hoffman e ha anche fatto un confronto tra la serialità italiana e quella straniera.

Buongiorno Marco, benvenuto a “La voce dello schermo” , dal 7 maggio ti vedremo ne il “Capitano Maria”, presentaci un po’ questo prodotto e il tuo personaggio.
La fiction racconta la storia di Maria Guerra, una donna capitano dei carabinieri, che decide di lasciare Roma e di tornare al suo paese d’origine. E’ un paese non bene identificato, ma sappiamo che si trova in Puglia. Maria fa questa scelta per fare chiarezza sul rapporto con sua figlia, che ha delle amicizie non buone a Roma. Per allontanarla da ciò, la porta in Puglia. Ma, come spesso accade, quando si fugge da dei problemi se ne trovano di nuovi nel posto in cui si va. Un altro motivo del ritorno è la morte del marito, avvenuta qualche anno prima in un tragico incidente. La grave perdita subita da Maria ha costretto la donna a non darsi mai pace per l’accaduto. In Puglia subentreranno nuovi problemi: la figlia non avrà buone amicizie, ma soprattutto ci sarà un’attività criminale che gestisce l’intero mercato del porto della città. Di questa attività criminale se ne occupa la famiglia Patriarca. Il padre è il boss e comanda dal carcere. I suoi tre figli sono: Tancredi, Beppe e Nico. Tancredi ha deciso di allontanarsi dall’attività criminale ed è diventato un famoso chirurgo; Beppe e Nico muovono i tasselli di questa attività criminale. Il mio personaggio, Beppe, è il fratello che si trova in mezzo agli altri due e cerca di fare da collante tra il più piccolo e il più grande. E’ una storia oscura, ma con tanti aspetti umani, così come tutta la storia de “Il Capitano Maria”.

*Fotografia di Fabrizio Di Giulio

Quali sono gli aspetti che ti hanno colpito di più della fiction e del tuo personaggio?
E’ una fiction improntata sull’umanità dei personaggi. E’ questo l’aspetto principale del prodotto. Il personaggio principale è femminile, che si ritrova in un ambiente criminale gestito soprattutto da uomini. Maria dà un tocco di umanità a tutto il resto della storia. Il personaggio che interpreto è interessante perché, quando Maria Guerra arriva in Puglia, è in forte crisi, dovuta anche al momento difficile dei Patriarca. Sono interessanti anche le continue problematiche familiari che coinvolgono i personaggi. Altro aspetto da sottolineare è la location. E’ stata girata interamente in Puglia e un prodotto del genere poteva essere fatto soltanto in Italia, perché solo l’Italia e luoghi come la Puglia ti danno la possibilità di assistere alle loro bellezze. La presenza di queste attività criminali sottolineano il fatto che l’Italia è un Paese ricco di pro e di contro.

*Fotografia di Fabrizio Di Giulio

Com’è stato, per te che sei pugliese, avere la possibilità di girare in Puglia? Sei molto legato alla tua terra?
Sì, sono molto legato alla mia terra e per me è stato come girare a casa. Solitamente, come nello sport, quando si gioca in casa dovrebbe essere più facile, invece non lo è stato. Perché ho avvertito una pressione e un senso di responsabilità maggiore. Tornare in Puglia è sempre stato un motivo di grande orgoglio per me, perché tornare lì, dove tutto è iniziato, fa sempre piacere, ma è sempre una grande e bella responsabilità.

Non è da tutti poter far parte di un film di 007. Cosa porti nel cuore dell’esperienza in “Spectre”?
Io ho spesso a che fare con produzioni estere, vivendo a Londra. Film come “Spectre”, o serie come “Tyrant” o “Knightfall” o “I Medici” sono esperienze indimenticabili soprattutto perché ti ritrovi a confrontarti con personaggi importanti, come il regista Sam Mendes o attori come Daniel Craig che, solo fino a qualche tempo prima, ero abituato a vedere al cinema o in televisione. E’ stata una bellissima esperienza, soprattutto perché ho scoperto il lato umano di queste persone. Sam Mendes è stato un perfetto esempio, una persona che chiede continuamente il tuo parere, come ti trovi a girare quella scena, una persona molto aperta allo scambio e al confronto. Questo è un aspetto importante che ricordo con piacere.

Qual è stato il collega che ti ha colpito di più?
Sicuramente quando mi è capitato di girare con Dustin Hoffman, ne “I Medici”. Non avevamo scene assieme, ma anche il fatto di trovarsi sul set con lui è senza dubbio un aspetto molto stimolante. Dustin Hoffman è una pietra miliare del cinema e vedere un uomo della sua età che si diverte come un bambino, tutti i giorni, ti fa rendere conto di quanto il nostro sia un mestiere in cui bisogna per forza divertirsi. Nessuno ci obbliga la mattina ad andare sul set o al teatro a lavorare. Siamo noi che decidiamo di farlo e quindi dobbiamo prenderci le responsabilità dei lunghi periodi negativi, così come dei lunghi periodi positivi. Lui è il perfetto esempio di come un attore dovrebbe essere: partire sin da giovane, divertendosi, arrivare ad una parte centrale dove si sperimenta di più ed arrivare a fine carriera in un punto in cui ci si diverte nuovamente come un bambino. E’ stato sicuramente molto stimolante.

*Fotografia di Alex Fine

Puoi fare un confronto tra serie tv straniere e italiane?
E’ difficile fare un confronto, perché ogni paese ha la sua cultura. Quello che più mi sorprende è che in Italia, quando si osa rischiare lo si fa per un po’ e poi si torna subito indietro. E’ come se fossimo un po’ troppo timidi per rischiare davvero. Questo invece all’estero non accade tanto. Ho lavorato in Ungheria, in Repubblica Ceca, In Sud Corea, in Cina, oltre che in Inghilterra, e penso che quella di non rischiare tanto sia una caratteristica nostra. Dovremmo sempre provare ad osare, anche con poco, anche avendo budget limitati. Siamo sempre un po’ timidi o pigri su questo. Mentre all’estero c’è più energia, più voglia di sbagliare e sbagliando si impara più velocemente. Ma questo si vede dai ragazzi che escono dalle accademie. Il percorso che loro attraversano all’interno dell’accademia tende ad essere quasi un processo “a maniche corte” e ristretto. Invece i ragazzi della nuova generazione devono imparare a confrontarsi, a rischiare subito, a sbagliare tanto e a prendere tanti schiaffi dal lavoro, per crescere ed essere sempre più forti per affrontare il mercato, che è la cosa che conta di più.

Ci sono altre esperienze che vorresti ricordare e perché?
Le esperienze in Ungheria e in Sud Corea sono state per me indimenticabili. In Ungheria ho avuto, per la prima volta, l’opportunità di confrontarmi con l’estero, grazie ad un regista che era venuto in accademia da Budapest. Scelse me ed una mia collega e ci portò lì a lavorare con lui. Ricordo la difficoltà nel convincere l’accademia a lasciarmi andare perché era molto restia alla sperimentazione dei propri allievi fuori. Imparare l’ungherese e recitare in quella lingua mi ha fatto capire che ero pronto a fare questo mestiere anche fuori dall’Italia. Singolare è stata poi l’esperienza a Busan, in Sud Corea, e un elemento chiave nello sbocco in Inghilterra. Qui ho capito dove volevo arrivare, come volevo arrivare e quanto bisogna investire per raggiungere i propri obiettivi.

Dove ti vedremo dopo “Il Capitano Maria”?
Dopo “Il Capitano Maria” sarò impegnato in un corto con la regia di Claudia Zella e poi in Inghilterra con un altro corto che riguarda la relazione che gli uomini hanno con la vita nelle grandi città. Affronta il tema della solitudine, il confrontarsi con le persone, il non riuscire ad avere relazioni. Infine, sto continuando a promuovere lo spettacolo di cui io sono regista. Lo spettacolo si chiama “Parlavano di me”, vede in scena la mia compagna, Francesca Nerozzi, ed è uno spettacolo che tratta il tema dell’anoressia dal punto di vista di una ragazza che partecipa a concorsi di bellezza. E’ uno spettacolo che è andato in scena a Pistoia, ha avuto sold out e adesso stiamo iniziando a programmare il tour per l’autunno-inverno del prossimo anno. E’ molto forte per l’argomento di cui parla, ma è trattato anche con ironia e spensieratezza. Credo che sia uno spettacolo interessante da mostrare alle nuove generazioni. Perché parla di loro. Parla soprattutto delle relazioni spesso spezzate che si sviluppano a volte nei rapporti tra figli e genitori.

Questo portale si chiama “La voce dello schermo”, cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Ascoltare la voce dello schermo è importante e fondamentale, perché ti mette in comunicazione con l’esterno e con tutto il mondo, che sia lo schermo di un computer o di un televisore. Ascoltare la voce dello schermo per me è una cosa fondamentale, ma saperla filtrare è una cosa essenziale.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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