Essere la più giovane attrice ad aver vinto il David di Donatello non è da tutti e Swamy Rotolo ci ha fatto comprendere sin da ragazzina che ci trovavamo di fronte a un’attrice fuori dal comune. Nonostante non debba essere stato facile per lei dover fare i conti così presto con un riconoscimento tanto appagante ma allo stesso tempo pesante, Swamy ci ha dato prova della sua bravura in altre interessanti interpretazioni, una su tutte quella di Marta in “Io e il Secco” di Gianluca Santoni, dimostrandosi un’attrice che non ha intenzione di fermarsi ai riconoscimenti già vinti e che ha ancora tanta voglia di stupire. Ma non è tutto, presto l’attrice sarà anche ne “Il Velo”, corto di Cristian Patanè che sta già suscitando grande interesse.
Abbiamo intervistato proprio Swamy che ci ha raccontato i giorni sul set in “A Chiara”, interpretazione che le ha permesso di entrare nella storia dei David, ci ha parlato di cosa abbia significato per lei essere diretta da registi come Carpignano, Santoni e Patanè e ci ha confidato le emozioni provate alla consegna dei David: dal bacio di Servillo alle lacrime di orgoglio del padre. A voi…
Salve Swamy. Benvenuta su “La voce dello schermo”. Partiamo da “Il velo” cortometraggio di Cristian Patanè in cui sei attualmente impegnata. Cosa ti ha convinto di questo progetto?
Salve a tutti, grazie. Conoscevo già Cristian da più di un anno e ho capito sin da subito che persona sia: brillante, coltissima e che sa quello che vuole. Mi aveva accennato l’idea di questo corto e leggendo la sceneggiatura me ne sono innamorata immediatamente. Inoltre, ho trovato dei colleghi bravissimi come Sara Mafodda e Valerio Legrottaglie. È nata subito una grande sintonia, abbiamo lavorato ma ci siamo anche tanto divertiti.
Parliamo un po’ del corto…
Interpreto Lea, una sposa che si trova davanti all’altare e, nel momento in cui sta per sposare il futuro marito, un amore passato si presenta in chiesa: è Carla, che ora ha scelto di diventare novizia ma rappresenta una parte importante della vita di Lea.
Un’ altra esperienza in cui ti abbiamo vista di recente è stata “Io e il Secco” di Gianluca Santoni. Cosa ha significato per te essere diretta da Gianluca?
Nonostante fosse la sua opera prima, Gianluca si è dimostrato un regista esemplare. Inoltre, è una persona molto tranquilla ed emanava quel senso di calma che poche volte ho riscontrato sul set. Sin dal provino mi ha messo a mio agio ed è stato bellissimo far parte di questo progetto.
Quali corde ti ha permesso di toccare il personaggio di Marta?
Rappresenta un po’ il porto sicuro del Secco e non so che fine avrebbe fatto senza di lei. È stato bello rappresentare questo appiglio per il protagonista e mi ha permesso inoltre di esplorare il senso di maternità.
Sei stata lanciata da Jonas Carpignano, hai iniziato con “A Ciambra” fino all’apice con “A Chiara” che ti ha permesso di vincere il David di Donatello…
Sì, avevo undici anni quando ho fatto parte di “A Ciambra” e non sapevo cosa mi aspettasse. Ho conosciuto Jonas ma è una persona molto misteriosa e non percepivo minimamente ciò che avrei fatto dopo. È stata però un’esperienza molto breve e semplice.
Com’è avvenuto invece il passaggio da “A Ciambra” a “A Chiara”?
Dopo cinque anni di studio intensivo nei miei confronti, in cui Jonas mi seguiva ovunque, era diventato una specie di stalker e si imbucava anche alle feste dei miei amici (ride ndr.), mi chiese di fare la protagonista del nuovo film, interpretando lo stesso personaggio che avevo fatto nel film precedente. Inizialmente rifiutai, ma insistette talmente tanto che alla fine mi convinse. Fare questo film mi ha cambiato la vita perché è stata un’opportunità che non volevo cogliere ma che poi mi ha fatto capire quanto sia bello stare sul set, quanto mi piace e prima di questo film non sapevo che avrei voluto fare questo lavoro. Mi ha aperto gli occhi, nonostante sia stata un’esperienza tosta perché non avevo mai studiato recitazione prima di allora. Fare un film con Jonas è stata per me una grande palestra.
Credi nel destino dopo quanto ti è capitato?
Assolutamente sì, ma c’è anche un altro episodio singolare che ci è accaduto. Mentre stavamo girando, si stavano svolgendo le premiazioni dei David dell’anno precedente, con l’ingenuità di una ragazzina di quindici anni dissi al padre di Jonas: “Paolo, anche noi vinceremo il David”. L’anno successivo siamo stati candidati entrambi ed è stato surreale.
“A Chiara” ti ha dato la possibilità di girare a fianco della tua famiglia, che forza in più ti ha dato?
Secondo me è stata una scelta molto azzeccata, entravamo subito in empatia con i personaggi, litigavo con mio padre nel film ma sarebbe potuto accadere nella realtà e sapevo cosa desse fastidio a lui. Nella scena del confronto con mia sorella, in cui litigavamo, lei ha pianto per quanto eravamo arrabbiate ed è stato come se fosse accaduto veramente. Jonas ha il potere di farti cambiare e Chiara era diventata Swamy.
Dalla previsione del David di Donatello alla vittoria, cosa ha significato vincerlo?
Non ci contavo perché mi sembrava impossibile. Trovarmi tra la cinquina era già un traguardo enorme per me che avevo appena fatto il mio primo film da protagonista. Vincerlo è stata un’emozione che non so descrivere, appena annunciato il mio nome volevo piangere, ridere, scappare e per me era davvero assurdo. È stato emozionante anche confrontarmi con le altre attrici e imparare da chi ha più esperienza.
Cosa ti ha colpito di più della premiazione?
Tante cose che non mi aspettavo: dal bacio di Toni Servillo al termine della premiazione, la sua umanità e la sua bravura perché mi ha sorpreso che, nonostante sia un attore straordinario, sia anche una persona molto umile. Mi ha colpito la reazione dei miei familiari e, quando hanno annunciato il mio nome, mio padre si trovava in bagno e ha iniziato a correre verso la sala piangendo. Ho tanti ricordi e porto nel cuore tante emozioni di quella serata.
Un’attrice giovane come te, la più giovane a vincerlo, come si approccia a interpretazioni future?
Sicuramente inizialmente non è stato semplice perché essendo molto giovane, avendo tanto da imparare e dal momento che “A Chiara” rappresentava la mia prima esperienza, avevo bisogno di studiare per raggiungere anche una maturità artistica che mi permettesse di andare avanti e interpretare altri personaggi. Piano piano, grazie allo studio, mi sento sempre più pronta a nuove sfide.
Sei calabrese, come hai affrontato lo studio della recitazione?
Niente è impossibile quando c’è passione. Se c’è dedizione e studio tutto è raggiungibile. Noi meridionali forse siamo un po’ più penalizzati dalla posizione e diventa quasi obbligatorio andarsene, nonostante le produzioni che riguardano la mia regione, perché i provini e ciò che riguarda lo studio si trova a Roma o in realtà simili.
Se fossi una giornalista che domanda faresti a Swamy?
Le chiederei come si sente in questo momento. Risponderebbe che ha voglia di mettersi alla prova in nuove sfide interpretative e non vede l’ora di cimentarsi in nuovi progetti stimolanti.
Hai degli attori o attrici di riferimento?
Sicuramente Alessandro Borghi e Pierfrancesco Favino sono due di questi. Mi piace il loro modo di cambiare da un film a un altro ed entrano benissimo nel personaggio. Una volta che si intraprende il mestiere di attore e si comprendono le dinamiche che ci sono dietro, diventa difficile distaccarsi. Ormai non riesco a guardare un film in maniera tranquilla, ma cerco di capire come abbia fatto l’attore a fare una determinata cosa e in quel modo. In loro due mi viene difficile capire come si siano calati nel personaggio, perché sono molto naturali quando recitano e sono bravissimi.
Questo portale si intitola la voce dello schermo. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa tranquillità. Amo guardare i film di sera, dopo una giornata di studio è la mia comfort zone, mi trovo a mio agio e mi rilasso. La voce dello schermo mi fa sentire come se i pensieri svanissero, è essenziale per me e mi fa stare bene.
Di Francesco Sciortino