Sofia D’Elia ha stupito tutti in due interpretazioni che riguardano il regista Roberto Faenza: la prima è sicuramente “Hill Of Vision”, in cui l’attrice ha vestito i panni di Frank e che ci ha fatto comprendere sin da subito le sue potenzialità; la seconda è “Folle D’Amore – Alda Merini”, in cui Sofia ha dovuto raccontare la parte adolescenziale della scrittrice e ha rappresentato una vera e propria prova del nove per lei. Abbiamo intervistato Sofia su “La voce dello schermo” che ci ha ricordato le esperienze in cui è stata diretta da Faenza, ci ha raccontato tanti aspetti riguardanti il mondo di Alda Merini, in cui ha dovuto addentrarsi per interpretarla, e ci ha anticipato tre interessanti progetti che la riguardano. A voi…
Salve Sofia, benvenuta su “La voce dello schermo”. Partiamo da “Folle D’Amore – Alda Merini”. Cosa hai amato di questo set e dell’essere diretta da Roberto Faenza?
Salve a tutti, grazie. Interpretare Alda Merini è stato un onore per me, perché è considerata tuttora un’icona della poesia e l’emblema della figura femminile per via della propria libertà. Essere donna oggi non è facile, spesso non siamo tutelate. Mi sono chiesta quanto fosse difficile affermarsi, in quel periodo, come donna al di fuori delle mura domestiche. Nella giovane età lei aveva studiato tra mille difficoltà e sofferenze, anche perché aveva una mamma che era contraria a far continuare gli studi alla figlia e un padre che veniva oscurato dalla figura della moglie. Ho interpretato l’Alda adolescente, che a soli quindici anni esordisce come autrice ed è una storia meravigliosa. Quando si interpreta un ruolo di questo tipo ci si rende conto quanta meraviglia ci sia all’interno di un personaggio che non è stato apprezzato tanto nel momento in cui ha vissuto. Con Roberto Faenza c’è stato sin da subito un rapporto di grande empatia e mi ha sempre parlato di Alda, della sua genialità, della sua follia e soprattutto di questa sua età adolescenziale in cui esplodeva e si paragonava alla stagione della primavera.
Pensi che esperienze come queste ti facciano crescere anche dal punto di vista umano?
Sicuramente sì, soprattutto un personaggio come lei. Frequento il quinto anno di liceo scientifico e interpretare un’autrice che ho studiato sui banchi di scuola è stato un enorme privilegio. Mi ha fatto crescere perché mi ha fatto capire il senso di molte cose. Io, come molti adolescenti, mi chiedo sempre se sono davvero felice. Quando ho interpretato Alda mi sono resa conto che oggi dobbiamo dire grazie a figure come lei e ad altri artisti che hanno combattuto affinché ci venisse riconosciuta la libertà di espressione. È importantissimo, perché sappiamo quante battaglie siano state fatte per la libertà. Sono cresciuta soprattutto interiormente, sul concetto di maturità e di libertà perché oggi ci sembra quasi un’utopia ma in realtà non è così. Recitare significa soprattutto immergersi nei panni di una persona a te esterna e vedi attraverso altri occhi quando reciti.
Cosa significa per te essere liberi?
Sicuramente oggi pensiamo di non essere liberi perché ci sentiamo privati della nostra libertà in qualsiasi modo, perché non sappiamo apprezzare la quotidianità, fuggiamo da noi stessi e non riusciamo mai a soffermarci nelle cose. Figure come Alda trovavano rifugio nello studio, nella poesia e il rapporto penna e carta era insostituibile. Essere liberi significava stare bene con se stessi e nonostante lei avesse il problema del bipolarismo, si è sempre sentita libera perché c’è una parte della nostra mente che non va violata, è il nostro piccolo mondo ed è lì che si trovano la libertà e la felicità.
Roberto Faenza ha sempre espresso belle parole nei tuoi confronti…
Sì e lo ringrazio tantissimo. È stato per me un maestro. Sono stata diretta per la prima volta da lui in “Hill Of Vision” e il modo in cui mi ha guidata mi ha fatto crescere perché lavora molto sull’impatto emotivo, preferisce costruire il personaggio cercando di farci scavare dentro noi stessi per tirare fuori quelle emozioni che pensiamo di non avere ma che in realtà ci appartengono. Quando ho interpretato Frank in “Hill Of Vision” dovevo tirar fuori la forza di un’adolescente che viveva la guerra e doveva cercare di sopravvivere a quello che poi sarebbe diventato il Premio Nobel Mario Capecchi. In Alda ho imparato a raccontare quel connubio di fragilità, passione e di forza perché non significa che una persona che ha un problema mentale dobbiamo vederla soltanto come qualcuno che soffre e basta.
Presto ti vedremo in “Di niente e di nessuno”, cosa puoi dirci a riguardo?
Riguardo “Di niente e di nessuno” posso soltanto dire che è tratto da un romanzo di Dario Levantino e interpreto Anna, la fidanzata del protagonista Rosario, interpretato da Leon Muraca. Nel cast c’è anche Manuela Ventura che è la mamma del protagonista e Vincenzo Ferrera. È una storia dal forte impatto emotivo e ambientata in quartieri difficili. Per capire Anna ho ascoltato attentamente le richieste di Cristina Ducci e sono felicissima di essere diretta da lei perché credo che le donne abbiano una sensibilità diversa nel raccontare storie delicate come questa.
“Di niente e di nessuno” non è l’unico set in cui sei impegnata. Tra i progetti in cui ti vedremo ci sono anche “Albula” e “Ting”…
Sì, in “Albula” interpreto la protagonista Sofia, e troviamo un cast molto importante perché ci sono Alessandro Haber, Alba Rohrwacher, Romano Talevi, Sabrina Ruggiero, Antonella Ponziani e ci sarà la voce narrante di Luca Ward. Racconterà di un viaggio metafisico del vecchio e nuovo mondo e della guerra di ieri e di oggi attraverso il racconto di queste due ragazze: Sofia, ragazza ebrea del 1945, e Amine una ragazza palestinese che riflettono il concetto di guerra. Il prossimo anno sarò invece in “Ting”, diretto da Maximilien Dejoie e prodotto da Albolina Film. È un fanta-horror ed è la prima volta che mi cimento in un horror ed è un grande privilegio perché è un lavoro molto impegnativo. Interpreto Marilì, la protagonista, e l’obiettivo è di raccontare un’inquietante storia di formazione con degli elementi horror, in un’Italia settentrionale del 1918, devastata dalla Prima Guerra Mondiale e prossima all’influenza spagnola.
Sul tuo conto ci sono tante aspettative. Ti ha accompagnata spesso la definizione di “enfant prodige” della recitazione. Cosa rappresenta per te?
Per me è un grande onore, vivo la mia vita sorprendendomi ma non illudendomi. Sono molto felice dei riscontri positivi, fare l’attrice è un lavoro molto impegnativo, è caratterizzato dall’impegno, dal sacrificio e anche dai pianti perché superare dei provini non è facile. Bisogna essere tanto determinati e mi ha riempito di gioia leggere belle recensioni. Credo che il lavoro dell’attore sia quello delle emozioni e se ho ricevuto dei riscontri significa che questa emozione è arrivata. Ne sono molto felice e penso che il cinema sia un grande contenitore di messaggi e quando arrivano sono felici sia gli attori che il regista.
Quali passioni ami conciliare con la recitazione?
Studio canto da quando avevo nove anni, da quando ne avevo tredici invece canto lirico da soprano. Mi è sempre piaciuto perché permette di conservare la classicità ma anche la potenza espressiva del melodramma. È una delle cose che si lega molto al cinema e all’interpretazione. Inoltre, mi piace suonare il pianoforte, in particolar modo le opere di Schubert e amo la storia dell’arte, documentandomi molto soprattutto su Caravaggio.
Hai attori o attrici di riferimento?
Assolutamente sì. Nel 2021 ho girato il cortometraggio “Tutù”, che è stato molto apprezzato e racconta la storia di una ragazza che soffre di anoressia nell’ambiente della danza classica e mi sono ispirata a Natalie Portman e a “Il Cigno Nero”. È un’attrice a cui mi ispiro molto perché sa abbinare al talento la spontaneità e la naturalezza. In Italia invece tra le attrici che considero dei punti di riferimento ci sono Benedetta Porcaroli e tra le icone della recitazione Monica Vitti.
Riguardo i registi, quali sono quelli che ti incuriosiscono maggiormente?
Spero un giorno di poter lavorare con Luca Guadagnino, perché credo che sappia toccare il cuore di ognuno di noi, di tutte le età e porta dei temi nei film che non hanno categoria. “Chiamami col tuo nome” è un film a cui tengo molto perché ha cambiato la mia opinione sul concetto di amore. Lui sa raccontare con grande sensibilità e criticità ogni argomento. Essere diretta da lui significherebbe fare un viaggio nell’anima. Tra i registi stranieri, amo follemente Tim Burton e come, partendo dalla diversità, ci rende tutti uguali.
Se potessi rubare un ruolo a una tua collega quale sceglieresti?
Ruberei ad Anne Hathaway il ruolo di Fantine ne “Les Misérables”, ispirato al romanzo di Victor Hugo. Credo che sia uno dei ruoli interpretati meglio da lei e il suo personaggio a livello emotivo comporta un grande lavoro e un modo per guardarsi dentro e interiorizzare ogni tipo di tema affrontato.
Se fossi una giornalista che domanda faresti a Sofia?
Le chiederei se davvero si sente felice e risponderebbe di sì perché per me la positività non è un mezzo per combattere la vita come molti credono, perché la vita non è una battaglia ma è come se fosse qualcosa da colorare. Mi sento felice perché riesco sempre a trovare un colore diverso per colorare ogni giorno.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa cultura perché attraverso l’ascolto di chi ci parla, di chi interpreta un ruolo e di chi ci sta raccontando una storia dobbiamo cercare di interiorizzarla ed è un modo per incrementare la propria capacità culturale e avere un’opinione. Noi giovani oggi siamo un po’ travolti da molta superficialità e con l’avvenire dei social non tutti gli adolescenti sono stati in grado di utilizzarli nel modo corretto, la voce dello schermo a volte ci aiuta a capire quello che i grandi saggi a scuola ci dicono e ascoltare il cinema significa pura cultura e crescita personale.
Di Francesco Sciortino