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Intervista a Francesco Russo: “Amo la commedia, ma mi affascina esplorare anche il lato malinconico dei personaggi” L’attore, reduce della straordinaria interpretazione nei panni di Cesare Rossi in “M. – Il Figlio del secolo” si racconta su “La voce dello schermo” parlando della serie diretta da Joe Wright, di “Call My Agent”, di cui sarà nuovamente protagonista nella terza stagione e di altri nuovi progetti che lo riguardano.

Feb 14, 2025
Foto di Alessandro Rabboni

M. – Il figlio del secolo” si è conclusa da poco su Sky ma ha sicuramente lasciato il segno per le interessanti prove interpretative che i suoi protagonisti hanno offerto. Oltre a Luca Marinelli, infatti, si è distinto per una strabiliante interpretazione Francesco Russo, che ha vestito i panni di Cesare Rossi. L’attore non è nuovo a performance degne di nota, lo abbiamo apprezzato, infatti, nell’ormai iconico Pierpaolo Puglisi in “Call My Agent” o in film come “Eravamo Bambini” di Marco Martani, in “TuttAPPosto” con Roberto Lipari, in “A Classic Horror Story” di De Feo e Strippoli e lo vedremo in diversi progetti interessanti in uscita prossimamente.
Con grande piacere, abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, proprio Francesco Russo, che ha raccontato l’incredibile esperienza in “M. – Il Figlio del secolo”, sotto la direzione di Joe Wright, e ci ha confidato cosa abbia significato affiancare Luca Marinelli e realizzare un lavoro minuzioso per costruire il personaggio di Cesare Rossi. Inoltre, Francesco ha raccontato le altre esperienze che sono state fondamentali per la sua carriera da attore e altri retroscena riguardanti il suo lavoro. A voi…

Foto di Alessandro Rabboni

Salve Francesco, benvenuto su “La voce dello schermo”. Partiamo da “M. – Il figlio del secolo”. Quali sono stati gli aspetti che ti hanno conquistato di questa serie?

Salve a tutti, grazie. Essere diretto da Joe Wright è stato bellissimo. Si trattava della prima volta che ho lavorato con un regista straniero, ho trovato un approccio diverso dal solito e le novità mi rendono sempre vivo. Ho avuto l’opportunità di recitare con Luca Marinelli, che per me è un grandissimo attore, e di imparare da lui. Infine, è stato interessante per me osservare la macchina produttiva molto importante che c’era dietro la serie e mi ha fatto molto piacere fare parte di questo progetto ed essere un tassello di quel tipo di produzione.

Questa impronta internazionale da cosa si percepiva?

Si percepiva dalla totale libertà creativa nel volere raccontare questa storia, che ha riguardato un’esperienza tragica italiana e che, osservata dal punto di vista di una persona straniera, è diventata una storia universale. L’ascesa di Mussolini diventa una metafora di ogni tipo di dittatura e di come un politico riesca a trasformarsi in un dittatore. È stato un aspetto molto affascinante da esplorare.

Cosa hai imparato da questo set?

Non conoscevo così dettagliatamente la storia che c’è dietro questo periodo e ho scoperto tantissimi avvenimenti che ignoravo: com’è avvenuta effettivamente la marcia su Roma, chi era effettivamente Matteotti, la divisione tra i socialisti e come il fascismo abbia cambiato continuamente idea. È stata un’esperienza molto interessante perché ho imparato tante cose ed è stato molto stimolante poter ammirare Luca Marinelli e il suo approccio così istintivo e allo stesso tempo creativo che lo contraddistingue.

Quale prova da attore ha rappresentato per te vestire i panni di Cesare Rossi?

C’è stato sicuramente un lavoro molto approfondito dietro. Le insidie sono sempre un piacere. Dovevo capire che lingua parlasse il mio personaggio e ho dovuto leggere le biografie e le autobiografie che aveva scritto dopo il ’45. Vista la sua storia, avevo pensato che potesse avere un’origine linguistica proveniente dalla toscana ma, allo stesso tempo, doveva possedere una sorta di ‘imbastardimento’ ovvero una musicalità che rimandava al centro Italia. C’è stato quindi un lavoro sulla lingua che seguiva questa direzione. Dopo ho dovuto concentrare la mia attenzione sul fisico e sulle posture, che erano diverse da quelle di oggi. Ho preso spunto da delle fotografie dell’epoca, cercando di riprendere le pose che le persone avevano a quei tempi. Bisognava trovare quel giusto equilibrio tra una naturale simpatia e una violenza psicologica, che il personaggio predica e che cerca di esercitare.

Braccio destro di Mussolini da personaggio, braccio destro di Marinelli da attore. Com’è stato creare questo rapporto di fiducia?

Tra professionisti si capiva subito il tipo di lavoro che bisognava fare, anche perché Joe ci aveva chiesto espressamente di concentrarci nella creazione di un rapporto di amicizia tossica, che venisse fuori dalle loro discussioni sulla politica e sulle scelte da fare un’umanità tossica tra maschi, come se fosse una gara a chi fosse più forte. Ci mettevamo a sbattere i pugni sul tavolo o i piedi per terra, alzando la voce, come all’interno di un rapporto infantile. Rossi cerca continuamente di consigliare Mussolini, ma quest’ultimo fa sempre di testa propria. Nonostante venga trattato male e vengano fatte delle cose che non crede siano giuste, Rossi torna sempre perché è accecato dall’adulazione di quest’uomo. Ho pensato potesse essere affetto da una sorta di sindrome di Stoccolma nei confronti di Mussolini.

Non sono mancate nemmeno le polemiche nei confronti della serie. Come le hai vissute?

Io penso che la serie prenda una posizione chiara: antifascista. Già dal momento della lettura delle sceneggiature immaginavo ci sarebbero state delle polemiche perché il nostro Paese e il mondo occidentale è pieno di persone che alzano il tiro revisionista. Mi aspettavo quindi che potesse fare rumore, non immaginavo però attacchi nei confronti di Luca perché ha espresso un sentimento e un parere vero su come abbia lavorato. In recitazione spesso mettiamo in pratica la sostituzione, cambiando degli aspetti del personaggio con dei nostri, ci sta che quando si interpreta un personaggio come Mussolini il tuo corpo reagisca e lui è ingrassato circa 30 chili. Credo abbia espresso dei pareri molto giusti e inerenti al suo lavoro da attore e non ritengo siano giuste le critiche nei suoi confronti.

Hai dovuto camminare in bilico tra simpatia e negatività del personaggio…

Sì, ma la simpatia è un aspetto caratteriale che riguarda certe persone. Dai libri di Rossi avevo letto che fosse dotato d’ironia, di un tipo di giudizio ironico e ho pensato fosse interessante mostrare che anche una persona simpatica può avere delle idee tremende ed essere una persona pericolosa. Ho provato a dare una forma per comunicare allo spettatore che bisogna andare anche al di là delle forme nel giudizio delle persone. Durante tutta la serie il mio personaggio non fa mai il saluto fascista ed è stata una scelta mia per far capire che ovviamente chi fa il saluto fascista è ovvio che lo sia, ma anche chi non lo fa può esserlo perché è una modalità di fare e di approccio alla politica. È stato questo il filo su cui ho cercato di camminare.

Spostiamoci di set ma non di rete. Riguardo “Call my agent” cosa puoi dirci? Ci sono novità riguardo la terza stagione?

Sì, la inizieremo a girare presto.

Quali sono gli aspetti che ami di questo prodotto?

È una comedy che fa molto ridere, ha una comicità molto improntata sull’umanità e un altro aspetto, secondo me, molto interessante che lo rende un prodotto molto amato dal pubblico è che parli di vite molto comuni alle persone di oggi, raccontando di gente che lavora in un ufficio e riproduce quel tipo di dinamiche in cui può identificarsi chiunque faccia quel tipo di lavoro. Inoltre, amo la squadra, molti attori li conoscevo già da prima e andavo a vederli a teatro, come Michele Di Mauro, Sara Drago, Maurizio Lastrico e sono stato molto contento di recitare al loro fianco.

Pierpaolo cosa ti permette di esprimere?

Credo si stia costruendo man mano che si va avanti con le stagioni. Racconta una situazione precaria, di trentenni di oggi che amano qualcosa e racconta anche come si può anche diventare cinici nel giudizio. È un personaggio molto generazionale appartenente alla mia generazione e mi permette di sfogarmi giocando. Mentre in “M – il figlio del secolo” mi trovavo in bilico su un filo, in “Call My Agent” potevo dare libero sfogo alla mia creatività sulla comicità del personaggio mantenendo però un punto di vista molto realista.

Riguardo le tappe della tua carriera, quali sono quelle che metteresti in evidenza?

A cinque anni ho detto per la prima volta che volevo fare l’attore e avevo già quella mentalità che mi faceva affrontare le recite scolastiche come se fosse un lavoro per me e in maniera non molto differente rispetto a qualsiasi progetto in cui mi ritrovo oggi. Ogni esperienza mi ha regalato qualcosa, dai tre anni dell’accademia che mi ha fatto incontrare tantissimi ragazzi appassionati di recitazione che sono diventati miei amici e con cui condividevamo momenti di creatività. Inizialmente pensavo che avrei fatto soltanto teatro, poi mi sono avvicinato nell’audiovisivo. Tutti i progetti sono stati un continuo divenire, mi piace stare libero su un set o su un palco.

“Eravamo bambini” è un’esperienza differente rispetto alle altre. Com’è stato cambiare un po’ corde?

È un’esperienza a cui sono molto legato perché si tratta di un film piccolo ed è come se fosse una piccola famiglia. Ho dovuto toccare corde più intime e drammatiche. Prima di iniziare il film ebbi degli incubi sulla mia famiglia, perché pensavo alla morte, essendo un film che affronta questo argomento. È stata un’esperienza molto intensa, che rifarei e mi piacerebbe approfondire nuovamente quel lato melodrammatico. Era una sceneggiatura molto particolare, dove non ho sentito il bisogno di cambiare niente perché era molto precisa nelle sue parole.

“TuttApposto” di Gianni Costantino e con Roberto Lipari, invece?

“TuttApposto” era una commedia molto seria e con un lato comico molto grottesco. Ho trascorso belle settimane in Sicilia e il film ebbe un discreto successo. Ero un assistente che subisce e ho dovuto prendere tante mazzate in quel film e cercavo di fare ridere attraverso questo aspetto. Essendo Roberto Lipari un comico ho dovuto fare un lavoro di spalla, servendogli certe battute e giocando sulla comicità pura. Io lavoro spesso sui sentimenti, sulle relazioni e sulle situazioni. È stato un bel connubio e un tipo di approccio interessante.

Dove ti vedremo prossimamente?

Uscirà “Dedalus”, un thriller di Gianluca Manzetti e una commedia divertente sul fantacalcio, diretta da Alessio Maria Federici e uscirà su Netflix. Inoltre, ho recitato anche nella serie di Marco Bellocchio sul caso Tortora.

Se fossi un giornalista, che domanda faresti a Francesco?

Gli domanderei se c’è o se ci fa e gli chiederei: “Parli, parli, parli, ma alla fine, chi sei veramente?” e gli risponderei: “Non te lo dico, fatti i fatti tuoi!” (ride ndr.)

Provo a chiedertelo io, chi è veramente Francesco?

Sono uno che legge e che recita. Non faccio nulla di più di questo! (ride ndr.)

Ti sei messo alla prova in commedie e in ruoli drammatici, pensi di avere una direzione definita o ti piace spaziare?

Non mi precludo nulla. Credo di avere una predisposizione naturale per la commedia, da quando ero bambino, guardando i film di Totò e venivano proiettati quei ritmi e quei tempi. Detto questo, Joe Wright mi disse, quando mi incontrò che, secondo lui, i migliori attori drammatici sono quelli comici. Gli credo, mi diverte immalinconirmi anche perché nella vita sono un po’ malinconico.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Significa ascoltare una voce che io posso sentire solo in quel momento sullo schermo e non potrà mai essere riprodotta a casa, per quanto possa avere un impianto dolby potentissimo, il lavoro su un suono posso ascoltarlo soltanto su uno schermo, insieme ad altri. È una voce che riporta e ricrea una comunità e per me è il più grande valore dell’arte: non guardare mai le cose da soli ma con gli altri perché è importante poi uscire e parlarne.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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