Fabrizio Eleuteri è sicuramente un artista poliedrico: attore con una formazione teatrale, negli ultimi anni si è fatto notare per interessanti interpretazioni come quella nei panni del compagno di Monica Guerritore nella terza stagione di “Vita da Carlo”. Presto lo vedremo al fianco di due colonne del cinema internazionale come Kevin Spacey ed Eric Roberts nel film “The Contract” di Massimo Paolucci ed è, infine, nel cast fisso di “Citofonare Rai2”, programma condotto da Paola Perego e Simona Ventura che permette all’attore di mettere alla prova continuamente l’improvvisazione e di dare libero sfogo alla propria creatività attraverso i suoi personaggi. Abbiamo intervistato Fabrizio su “La voce dello schermo”, che ci ha raccontato cosa abbia amato del far parte di set come “Vita da Carlo” e di “The Contract”, ci ha confidato cosa abbia significato per lui confrontarsi con giganti della recitazione come Kevin Spacey, Eric Roberts e Carlo Verdone; e ci ha regalato altri interessanti retroscena sulla propria carriera, come quando arrivò a un passo da un ruolo in “Emily in Paris”, ma gli fu preferito Raoul Bova sul fotofinish. A voi…

Salve Fabrizio, benvenuto su “La voce dello schermo”. Partiamo da “Vita da Carlo 3”. Cosa hai amato di questa esperienza?
Salve a tutti, grazie. Avevo già fatto qualche scena durante la seconda stagione, in cui appariva il mio personaggio al fianco di Monica Guerritore. Riccardo piacque e, durante la terza, abbiamo girato la puntata della cena di Natale in casa Verdone. È stata un’esperienza divertente, simpatica, piena di aneddoti e con un Carlo Verdone a telecamere spente che ci ha raccontato un sacco di avvenimenti. Era come se ascoltassimo una sorta di Bibbia del cinema. Lavorare con lui è stato emozionante ma allo stesso tempo ti trasmette una tranquillità disarmante.
Cosa ha rappresentato per te lavorare con Carlo Verdone?
Dopo aver amato tutta la sua cinematografia, da attore dici: “sarebbe bello condividere un giorno il set con lui, scambiando delle battute per avere un congiungimento tra il sogno da bambino e quello da attore”. È stata una bellissima soddisfazione e penso che nel nostro lavoro sia necessario essere bravi, studiare, trovarsi al posto giusto e al momento giusto ma serve anche un pizzico di fortuna e, dal giorno dopo, ripartire da zero sempre con tanta umiltà. Una volta lessi una frase che mi rimase impressa: “Solamente sul dizionario la parola ‘successo’ viene prima di ‘sudore’” ed è una profonda verità perché chiunque abbia delle aspirazioni e ambizioni un po’ più alte del normale, per arrivare a dei risultati, deve impegnarsi a fondo.
Da un mostro sacro del cinema italiano come Carlo Verdone a “The Contract”, diretto da Massimo Paolucci con altri due pilastri della recitazione come Kevin Spacey ed Eric Roberts. Cosa dobbiamo aspettarci da questo film?
Riunire questi due mostri sacri di Hollywood è stato un sogno di un produttore cinematografico indipendente che risponde al nome di Massimiliano Caroletti. Lo ringrazio per aver mirato così in alto e avermi concesso questa incredibile opportunità di recitare con loro sul set. È un’esperienza del tutto internazionale ma che presenta molti aspetti presenti nella cinematografia italiana. È un film psicologico, con caratteristiche meno veloci, di dialogo e di approfondimento dei personaggi. Ho girato diverse scene con Eric Roberts, fratello di Julia Roberts e che vanta un’infinità di pellicole, ed è un attore che ha grande profondità e preparazione. Ma ciò che mi ha colpito maggiormente di lui è la sua generosità: si confrontava molto con me per la migliore riuscita delle scene. In un mondo in cui spesso si può storcere il naso per un’inquadratura in più a un collega, non è un aspetto scontato.
E con Kevin Spacey, com’è andata invece?
Osservando Kevin Spacey si blocca tutto. Sono tutti fermi, in sua adorazione, di fronte alla classe ed eleganza di un attore incredibile. Nei momenti post pranzo, si riusciva a scambiare qualche battuta con lui. Un giorno gli abbiamo detto: “Che piacere essere qui con lei, ma come si diventa Kevin Spacey?” e rispose: “Con tanto lavoro, dedizione e con tanta audacia, cercando di osare nell’interpretare il mio personaggio”. Ci ha mostrato un copione fatto da triangoli e cerchietti che indicavano il tono delle battute. È una preparazione nella preparazione. Raccontava che per lui recitare è come respirare e che gli era mancato tantissimo. Nel momento in cui stai per dire la battuta, dopo la sua, ti sorride e ti senti come all’interno di un gioco. Ho avuto modo di recitare anche con Jane Alexander, che è una professionista pazzesca. Abbiamo girato delle scene forti, al termine delle quali mi ha abbracciato e mi ha detto: “Fa, mi hai fatto venire i brividi”. Lavorare con lei è stata una bellissima scoperta.
“Citofonare Rai Due”, con Paola Perego e Simona Ventura, ti dà la possibilità di toccare altre corde. Cosa ti piace di questa esperienza?
È la terza edizione a cui partecipo e mi ha dato la possibilità di crescere sempre di più e di trovare un ambiente rilassato. Si è formata una bellissima squadra, è stato interessante confrontarmi con i ritmi da diretta e Paola Perego mi invoglia, assieme all’autrice, a sperimentare ed esprimermi sempre di più. Dal personaggio iniziale c’è stata una bella evoluzione e il mio è diventato un ruolo con peculiarità quasi da presentatore. Mi permette di misurarmi su tanti livelli. Inoltre, devo confrontarmi con un aspetto singolare: mentre da attore devo far finta che la telecamera non esista, in televisione, invece, qualsiasi cosa dica devo farlo guardando in camera. Mi diverte tantissimo perché posso mettermi alla prova nell’interpretazione, essendo gran parte delle battute improvvisate, e la reazione positiva del pubblico mi regala sempre di più una maggiore consapevolezza nei miei mezzi.
Quali altre tappe sceglieresti per sintetizzare la tua carriera?
Parto sicuramente dalla mia preparazione teatrale al Don Bosco, sotto la direzione di Carlo Nanni. È stato il primo passo che mi ha fatto comprendere come preparare ogni personaggio che ti viene dato, ma ogni esperienza mi ha insegnato qualcosa. Un episodio singolare che mi fa piacere ricordare è quando feci il provino per “Emily in Paris”: ero arrivato alla fase finale ma mi dissero che avevano scelto l’altra opzione. Per curiosità vidi chi era stato scelto al mio posto e chi era stato più bravo di me. In quel caso fu Raoul Bova, non fui scelto ma mi resi conto di quanto fosse stato un onore arrivare testa a testa con lui per contendere un ruolo su un set internazionale. Credo, infine, siano state importanti per la mia carriera anche le scelte delle agenzie e l’approccio alla televisione, che mi ha permesso di toccare corde interessanti e di sperimentarmi.
Se fossi un giornalista che domanda faresti a Fabrizio?
Mi piacerebbe sapere se quello che sta facendo adesso lo fa sentire rappresentato dal punto di vista artistico e se ha delle mire per capire dove sta andando la sua evoluzione. Risponderei che cerco sempre un’evoluzione e al momento sono molto felice di ciò che sono riuscito a ottenere e parte della mia felicità è da condividere con Riccardo Ciccarese, che reputo una persona splendida e un grande professionista. Ricevere dei consigli da un personaggio così preparato è davvero prezioso in questo ambiente. Purtroppo, c’è il rammarico di non potere condividere questo cammino con mia madre, che non c’è più da un anno e mezzo. Era la mia prima tifosa e mi diceva da bambino: “Ma che ti frega di vedere le videocassette di Hitchcock a dieci anni?”, ma per me si trattava di un fuoco sacro.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
La voce dello schermo è una voce narrante, calda, rassicurante, che trasmette un’atmosfera di casa. È uno spirito guida per tante situazioni che si possono realizzare.
Di Francesco Sciortino