Marianna Fontana è una delle giovani attrici più considerate nel panorama italiano e si sta facendo apprezzare per interpretazioni intense e mai banali. La prima dimostrazione del proprio talento cristallino è arrivata con il ruolo di Daisy in “Indivisibili”, che le è valso il Premio Biraghi ai Nastri D’Argento del 2017. Da allora Marianna ne ha fatta di strada e, tra un film e un altro, sono arrivate altre candidature importanti tra Nastri D’Argento e David Di Donatello. Oltre a “Indivisibili”, il film che l’ha lanciata nel cinema che conta, sono tante, infatti, le esperienze degne di nota dell’attrice campana: da “Capri Revolution” a “Romulus”, da “La seconda vita” a “L’ultima volta che siamo stati bambini”, film diretto da Claudio Bisio e in cui ha potuto mettersi alla prova nella commedia, dimostrando la propria duttilità ed ecletticità. Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, proprio Marianna che stiamo vedendo ultimamente in “Luce”, pellicola diretta da Silvia Luzi e da Luca Bellino. L’attrice ha parlato del film e del suo personaggio, delle interpretazioni che l’hanno messa alla prova maggiormente durante la propria carriera, di cosa abbia rappresentato per lei vincere il Premio Biraghi e ci ha confidato altre interessanti curiosità riguardanti le proprie interpretazioni. A voi…

Salve Marianna, benvenuta su “La voce dello schermo”. Ti stiamo vedendo al cinema in “Luce”, di Silvia Luzi e Luca Bellino. Cosa hai amato di questa esperienza?
Salve a tutti, grazie. “Luce” è un film che mi è rimasto nel cuore perché, oltre a essere dei registi meravigliosi, bravissimi e con una grande poesia; Silvia e Luca sono delle persone rare. È molto bello lavorare con loro, perché hanno un approccio diverso da quello usuale, vengono dal documentario e riescono a unire la realtà con la finzione. Sono riusciti a realizzarlo in Luce” e lo avevano già fatto ne “Il Cratere”, il loro primo film. È stata un’esperienza totalizzante, anche come approccio al lavoro, perché erano presenti dei non professionisti all’interno del film ed è stato interessante girare con loro. L’ho trovata un’avventura umana e lavorativa molto intensa.
Cos’altro ti ha colpito di loro dal punto di vista stilistico?
Possiedono uno stile unico ed è un po’ il loro marchio di fabbrica. Il loro modo di girare mi ha colpito anche dal punto di vista tecnico, con primi piani stretti, piani sequenza abbastanza lunghi con la macchina da presa che ti segue e che ti accompagna. Adottano delle scelte molto forti e hanno uno stile molto bello e naturale. Da attrice, girare con loro mi fa sentire molto libera.
Riguardo il tuo personaggio, invece, quali corde ti ha permesso di toccare?
È una ragazza che non ha un’identità e ci sono diversi aspetti che mi hanno affascinato di lei: vive una solitudine profonda, una condizione di dolore e di assenza e che manifesta attraverso le telefonate. Ho dovuto esplorare sentimenti, ombre e un buco nero che lei porta con sé e che cerca di colmare tramite una voce. Sono state corde molto intense da toccare.
Uno dei compiti di un’attrice è quello di cercare una verità nei personaggi interpretati. Come ci riesci tu?
In base a quello che è stato il mio percorso, cerco sempre di approcciarmi a quella che è la realtà e di attuare una preparazione fisica prima di interpretarli. Durante la mia carriera ho avuto la fortuna di vestire i panni di personaggi che possedevano una grande fisicità, partendo da “Indivisibili”, passando per “Capri Revolution”, fino ad arrivare a “Romulus” e a “Luce”. Lavorare con il corpo mi aiuta molto a trovare una verità emotiva. Partendo dal fisico, cerco una postura e una camminata perché, nel momento in cui si mettono in pratica, cambiano per certi versi l’interpretazione.
Di recente ti abbiamo visto ne “La seconda vita”, di Vito Palmieri. Che esperienza è stata per te?
È stato bello partecipare al Festival di Bari. Ho interpretato una ragazza che ha commesso un omicidio e che, dopo essere uscita dal carcere e dopo un percorso riparatore, cerca di costruirsi una nuova identità in un paese molto lontano da dove è nata. È un personaggio particolare, che rimane dentro, è un film sulla giustizia riparativa e Palmieri ha fatto anche dei documentari sull’argomento. Mi è piaciuto molto girarlo, e possiede uno stile molto singolare.
Secondo te, quali sono gli avvenimenti che determinano la riuscita di percorso artistico?
Prima di tutto, credo ci voglia molta fortuna a realizzare un percorso che ti stimoli, non è semplice, è sempre il frutto di un duro lavoro ma devi avere la fortuna di incontrare le persone giuste. Ho avuto sempre la possibilità di lavorare con dei registi con delle storie forti da raccontare. Credo che il percorso sia determinato un po’ dal caso e dagli incontri e un po’ dalle scelte che fai.
Tra le tappe iniziali della tua carriera ci sono “Indivisibili” e “Capri Revolution”. Come pensi abbiano arricchito la vita professionale?
Sono state esperienza che mi hanno formato come interprete e come persona ed è stato molto bello lavorare con registi che mi hanno permesso di dare voce e corpo a dei personaggi che vengono quasi emarginati dalla società, come accaduto in “Indivisibili”. Ha raccontato di due gemelle siamesi che hanno una sorta di deformità e che vengono sfruttate come fossero fenomeni da baracconi. È stato un film che ho amato, oltre che per il piacere di girare con mia sorella Angela, per il significato, per la forza e la fame che aveva questo film. “Capri Revolution”, invece, mi ha permesso di interpretare una contadina e guardiana di capre che viveva in una famiglia patriarcale e con l’eco della guerra. È un altro film che ha trattato una tematica molto forte come l’emancipazione di Lucia rispetto alla sua condizione culturale.
“Indivisibili” ti ha permesso di ottenere il prestigioso “Premio Biraghi” ai Nastri d’argento. Cosa ha rappresentato per te?
È stato uno dei primi premi che ho vinto ed è stata una bella soddisfazione. Ero molto piccola e all’epoca mi ha dato una bella carica per credere in un sogno e cercare di fare sempre di più. Ha significato molto per me.
Riguardo “Romulus”, invece, cosa ha significato per te?
Mi ha permesso recitare in protolatino e di raccontare un altro personaggio che affronta il suo percorso di emancipazione: quello di Ilia, che vive da tanti anni nel tempio di Vesta e sceglie di prendere in mano il suo destino, che sembrava segnato, e di diventare una guerriera. Ho avuto il piacere di confrontarmi con molte storie di ribellione ed è stato molto importante per me.
Oltre all’aspetto lavorativo, che rapporto hai con il cinema?
Vedo circa quattro film al giorno e vado ai festival da spettatrice. Mi piacciono vari generi, dalla commedia di Woody Allen al dramma d’autore. Tendo sempre a vedere prodotti nuovi ma non ho una preferenza.
“L’ultima volta che siamo stati bambini”, in cui sei stata diretta da Claudio Bisio, ti ha permesso di esplorare anche la commedia. Com’è stato addentrarti all’interno di questo genere?
Mi piace molto, mi sono divertita tantissimo e sono molto affezionata a questo film. Non mi dispiacerebbe poter approfondire ulteriormente il lato più leggero che c’è in me, perché nella vita sono molto comica.
Come ti piacerebbe sperimentarti in futuro?
Spero arrivino sempre ruoli con una grande forza interpretativa e narrativa.
Cosa significa per te recitare?
Significa impegnarmi, fare dei film in cui credo e di cui sono molto orgogliosa e riuscire a fare ciò che mi piace, nel miglior modo possibile e nonostante le difficoltà.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
“Luce” è proprio questo, parla di una voce attraverso uno schermo, quello del telefonino. Ascoltare la voce dello schermo significa comunicare, confrontarsi e soffermarci sulle voci che ci suggerisce il cinema e di cui sono profondamente innamorata.
Di Francesco Sciortino