Nemo Bandera è tornato a tenere compagnia agli spettatori di Canale 5 con la seconda stagione de “Il Patriarca”. Accanto a lui, non poteva mancare la moglie Serena, interpretata da una straordinaria Antonia Liskova. Abbiamo avuto l’onore e il piacere di intervistare su “La voce dello schermo” proprio Antonia che si è raccontata confidandoci quali opportunità interpretative le ha permesso di esplorare il personaggio di Serena, una colonna indistruttibile che deve tenere in piedi la famiglia Bandera dopo la perdita del figlio e il decorso della malattia del marito. Ma non è tutto, l’attrice ha parlato del grande rapporto di stima professionale che la lega a Claudio Amendola, delle interpretazioni più importanti della propria carriera, da “Tutti pazzi per Amore” a “Riparo”, uno dei film che l’ha valorizzata maggiormente permettendole di raggiungere riconoscimenti importanti come il “Nastro d’argento europeo” e il “Globo d’oro come attrice rivelazione” nel 2008. Infine, Antonia ci ha confidato un interessante aneddoto che riguarda il compianto Nino Manfredi e l’importanza che ha avuto per lei incontrarlo sul set de “La notte di Pasquino”. A voi…
Salve Antonia, benvenuta su “La voce dello schermo”. Partiamo ovviamente dalla seconda stagione de “Il Patriarca”. Come si entra nei panni della donna del Patriarca?
Salve a tutti, grazie. In un momento storico in cui si sta combattendo il patriarcato, una serie che si chiama in questo modo attira l’attenzione e qualche polemica. È stato interessante rendere questa donna che ha a che fare con un uomo potente che comincia a perdere la sua forza e determinazione a causa della malattia e rivela un lato più fragile, di una persona che ha bisogno di aiuto e di appoggiarsi alle persone vicine a lui. Inevitabilmente Serena diventa la prima persona a cui chiedere aiuto, anche a malincuore perché nella sua posizione è sempre difficile, e lei deve rispondere per amore perché comunque c’è un grande sentimento che li lega e spero che si veda essendo un aspetto importante.
Cosa ami di Serena e cosa ti mette alla prova di lei?
Amo la sua forza, il saper restare in piedi nonostante il dolore, dal momento che vive una delle tragedie peggiori che ogni essere umano possa provare: la perdita di un figlio. Riesce ad andare avanti per dare sostegno all’altra figlia. L’aspetto che invece apprezzo di meno è il voler giustificare sempre le persone che ama perché nella vita sono molto diversa e credo sia giusto ammettere che il proprio figlio stia sbagliando e far comprendere gli errori.
Quali sono le novità della seconda stagione che hai apprezzato maggiormente?
Il raccontare il rapporto e lo scontro di sangue tra il mio personaggio e quello di mia sorella. Assistiamo a due sorelle che si scontrano a causa della poca considerazione o della mancanza di affetto da parte dei loro genitori, soprattutto del loro papà. Mi sono trovata molto bene a lavorare con Alice (Torriani ndr.) e, riguardo la storyline, mi è piaciuta l’entrata in scena del nuovo antagonista, che ha dato la possibilità di affrontare una lotta alla pari con Nemo. Le prime puntate sono partite con un ritmo invidiabile e credo sia una serie molto interessante da seguire.
Non è la prima volta che lavori con Claudio Amendola. Come reputi questa collaborazione artistica?
Con Claudio si lavora molto bene, è molto piacevole stare sul set, c’è armonia e un’atmosfera bellissima. Quando si verificano queste condizioni è sempre un piacere girare ed è importante per la riuscita delle serie tv, soprattutto quando sono lunghe. Dal punto di vista artistico c’è affetto e grande rispetto. Sono molto felice di avere la sua stima e lo ringrazio perché mi ha dato la possibilità di lavorare con lui e di fare una cosa diversa. Per me è fondamentale interpretare ruoli diversi altrimenti ci si annoia!
Serena è molto forte. Ti ritieni una donna forte?
Assolutamente sì. Sono andata via da casa a diciannove anni e me la sono dovuta cavare da sola, in un altro Paese, senza alcun appoggio di nessuno. Ritengo che nella vita la forza o ce l’hai o la devi trovare.
Cosa pensi ti abbia insegnato la recitazione?
La recitazione inizialmente era un lavoro che mi ha aiutato ad andare avanti, con il tempo ho imparato ad amarla perché mi ha fatto crescere, mi ha dato la possibilità di imparare a mettermi nei panni degli altri e credo che sia uno degli aspetti più importanti che mi abbia dato questo lavoro.
Vedere le cose da un altro punto di vista mi aiuta a essere più comprensiva, a essere migliore e più forte nell’aiutare l’altro o nel gestire quello che ti dicono e che magari non condividi. Metterti nella loro parte ti insegna a guardare le cose da un’altra prospettiva e ti fa capire che stavi sbagliando il punto da cui guardavi quella determinata situazione. Credo sia un’analisi della vita molto importante e diventa quasi un percorso di psicanalisi.
Hai un punto debole?
Credo l’amore, perché quando amo divento debole ma credo sia una caratteristica comune a tutte le persone che amano incondizionatamente e che diventano più vulnerabili di fronte alle persone a cui tengono.
Quali pensi siano state le tappe più significative della tua carriera? “Riparo” ad esempio deve essere stata un’esperienza molto gratificante dal momento che ti ha permesso di ottenere diversi riconoscimenti importanti…
Sì, “Riparo” è stata una tappa molto importante della mia carriera, da lì ho capito che questo lavoro lo so fare e ho imparato a coltivarlo, a farlo crescere, a farlo mio. È stato un punto molto importante per la mia vita personale e professionale e penso sia stata la prima tappa fondamentale. Un altro punto di svolta è stato “Tutti Pazzi Per Amore” perché mi ha dato tanta popolarità ed mi ha fatto rendere conto di essere entrata nel cuore delle persone facendo un ruolo diverso, di commedia. Prima di questa serie, venivo identificata come un’attrice drammatica, nonostante abbia iniziato con Carlo Verdone, ma “Tutti pazzi per amore” mi ha permesso di farmi apprezzare all’interno di un altro genere.
Credi ci sia stato un incontro che ti abbia cambiato la vita artisticamente?
Assolutamente sì. L’incontro con Nino Manfredi durante le riprese de “La notte di Pasquino”, diretto da Luigi Magni. In uno dei momenti di pausa, in cui potevamo dialogare, lui mi disse una frase che mi cambiò per sempre: “Un po’ di sano esibizionismo, bambina!”. Ero una ragazzina e mi spiegò quanto un po’ di sano ego fosse fondamentale perché se non ce l’hai e se non te lo costruisci non potrai mai divertirti facendo questo lavoro. Io credevo che appoggiarsi sull’ego era tutto ciò che non andava fatto nella recitazione invece, grazie a quel consiglio, mi resi conto che comunque ci esibiamo e in quel momento il mio lavoro cominciò a essere un divertimento e un modo di giocare su ruoli diversi, che è diventato un po’ il mio mantra per i personaggi differenti che ho interpretato.
Hai interpretato tante tipologie di personaggi, c’è un ruolo che potrebbe metterti in difficoltà secondo te ma che ti piacerebbe fare?
Credo che un ruolo recitato in una lingua antica, in stile “Romulus” o “La Passione di Cristo”, potrebbe mettermi alla prova perché credo sia impegnativo dare un senso a ciò che si dice e si andrebbe a trovare soltanto dopo avere studiato una lingua che non esiste più. Sarebbe una bella sfida e mi piacerebbe tantissimo, anche se potrebbe mettermi in difficoltà in qualche modo.
Per certi versi hai vissuto un cambiamento nella serialità italiana, come cambia secondo te la tv da “Tutti pazzi per Amore” al “Patriarca”?
Credo ci siano alcuni aspetti positivi e altri negativi. Forse prima c’erano meno prodotti ma avendo a disposizione più tempo. Ricordo che le riprese di “Tutti pazzi per amore” durarono otto mesi. Adesso i tempi si sono accorciati e in alcuni casi si sono ridotti anche i budget. Nel momento in cui, attraverso le piattaforme, hai la possibilità di guardare una stagione in una sera, sei quasi costretto a riempirla di contenuti perché le persone chiedono cose nuove e a volte potrebbe risentirne la qualità. L’aspetto, invece, da apprezzare è che le persone hanno la possibilità di paragonare le serie straniere a quelle italiane, aprendoci a uno sforzo maggiore, verso prodotti più innovativi, rivoluzionari, coraggiosi, meno politicamente corretti e dandoci la spinta per esplorare un po’ di più degli argomenti forti e importanti. C’è più coraggio e rischio che ci fa andare più in profondità.
Dove ti vedremo prossimamente?
Sto girando con Alessandro Gassmann e diretta da Gianluca Tavarelli “I casi dell’avvocato Guerrieri”.
Il cambiamento ti spaventa, ti incuriosisce o ti carica?
Mi carica da morire. Ho appena traslocato, infatti! (ride ndr.)
Se fossi una giornalista che domanda faresti ad Antonia?
Le chiederei: “Com’è vivere il passaggio degli anni nel nostro mestiere?”, visto che nel tempo cambiano anche i ruoli. Rispondo che avverto il cambiamento, ma lo vivo positivamente perché mi viene dato più credito ed è come se avessi più esperienza. È un aspetto molto divertente, pensavo di risentirne ma mi ha fatto rendere conto che oggi c’è un modo di guardare l’età in maniera diversa. Percepisco che stiamo migliorando in questo ambiente anche da questo punto di vista.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Credo che significhi portare una responsabilità. Quello che comunica qualsiasi tipo di schermo, dal televisore al cinema o al telefono, sono tutti dei messaggi, delle comunicazioni e delle cose dette, pensate, ragionate, scritte e interpretate. Comunichiamo, dietro questa comunicazione c’è una grande responsabilità e su questo dovremmo lavorare un po’ di più.
Di Francesco Sciortino