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Intervista ad Antonio Catania: “Io, Salvatores, ‘The Bad Guy’ e ‘Boris'” L'attore si racconta su La voce dello schermo ripercorrendo le tappe indimenticabili della propria carriera e anticipando alcuni dei nuovi grandi progetti che lo riguardano.

Mag 20, 2024
Foto di Azzurra Primavera

Per Antonio Catania è un periodo molto interessante dal punto di vista lavorativo: lo abbiamo visto, infatti, irrompere con potenza nel finale di “The Bad Guy”, presentandoci il personaggio di Mariano Suro e gettando le basi per una scoppiettante seconda stagione della serie distribuita su Amazon Prime Video; nel mese di aprile ha fatto parte di “Zamora”, opera prima di Neri Marcorè in cui ha interpretato il Commendator Galbiati; prossimamente sarà in “Napoli – New York”, attesissimo film diretto da Gabriele Salvatores, con Pierfrancesco Favino e che dovrebbe uscire a fine anno.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Antonio, che si è raccontato su “La voce dello schermo” parlando delle recenti interpretazioni e delle altre iconiche della propria carriera che sono diventate vere e proprie pietre miliari per grande e piccolo schermo: dal Tenente La Rosa in “Mediterraneo” di Gabriele Salvatores a Lopez in “Boris”, dai film con Aldo, Giovanni e Giacomo a quelli diretti da Carlo Verdone. Questo e altro nella nostra intervista ad Antonio Catania, un attore che ha lasciato e continua a lasciare il segno tra cinema, teatro e televisione. A voi…

 

Foto di Azzurra Primavera

Salve Antonio, benvenuto su “La voce dello schermo”. Partiamo da “Zamora”, che esperienza è stata per te e come se l’è cavata Neri Marcorè alla regia?

Salve a tutti, grazie. “Zamora” è stata una bella sorpresa per me. Il protagonista ricalca un po’ un personaggio che ha delle somiglianze con Neri, da quello che lui racconta del suo passato. Si sente, per certi aspetti, inadeguato e ricorda un po’ quello interpretato da lui ne “Il Cuore Altrove” di Pupi Avati. Toccava un terreno che a lui era molto congeniale ed era molto preparato a raccontarlo. Neri, con grande delicatezza, sicurezza e disponibilità verso gli attori, è riuscito a creare un mix tra attori giovani e amici di vecchia data come me, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Giovanni Esposito, Ale e Franz, che ha garantito una certa brillantezza ai personaggi secondari. Il lavoro è stato ottimo e per essere la sua prima regia ha mostrato del grande talento.

Ti abbiamo visto nel finale di stagione di “The Bad Guy”, poche scene ma che ci fanno capire che ci troveremo di fronte a un grande personaggio nella seconda stagione…

La seconda stagione riprenderà dal finale della prima e scopriremo il percorso di Mariano Suro. Mi vedrete molto al fianco di Lo Cascio e di Giulia Maenza, che interpreta la figlia di Suro. È stato un lavoro molto tosto, interessante e ho dovuto farmi aiutare a ricreare l’accento palermitano. Giancarlo Fontana e Giuseppe Stasi sono due registi giovani ma con le idee molto chiare, sono molto preparati e mi sono affidato totalmente a loro perché mi hanno conquistato.

Cosa ti ha colpito di questi due registi?

Si sono interessati al cinema da ragazzini, hanno una straordinaria conoscenza cinematografica per essere così giovani e lo dimostrano dai riferimenti e le citazioni che arricchiscono la serie. Fontana si occupa anche del montaggio, Stasi più della scrittura. Si dividono i compiti ma sul set erano molto presenti entrambi e sapevano sempre quello che dovevano fare.

È un prodotto molto innovativo…

Sì, affronta in maniera del tutto nuovo l’argomento mafia, a volte con tratti di commedia e altre con paradossi, iperbole ed esagerazioni che lo rendono un prodotto unico.

Sappiamo di più riguardo la possibile data di uscita?

Si parla di gennaio 2025.

Un attore quando e come si rende conto di avere di fronte un grande progetto?

Prima di tutto leggendo la sceneggiatura. La scrittura, la bellezza dei dialoghi e le situazioni che incontri sono fondamentali. Poi se noti che il regista è totalmente coinvolto nel progetto, ne fa parte e sa anche quale direzione seguire, significa che hai di fronte qualcosa che non è facile da trovare.

“Boris” attraverso la critica e il sorriso è riuscita a cambiare la televisione. “Boris” e Lopez cosa hanno rappresentato per te?

Hanno rappresentato il periodo in cui si parlava con i dirigenti televisivi, che ostentavano le loro conoscenze, la loro sapienza culturale e l’idea di voler fare dei programmi che funzionassero. Noi attori abbiamo fatto delle fiction, a volte con sceneggiature discutibili, e mi ha ricordato quel periodo che abbiamo passato tutti noi in cui si masticava un po’ amaro. Perché ovviamente il lavoro era importante ma la qualità, per citare Lopez, è sempre stata il cavallo di battaglia di tutti i produttori che giustificavano tutto e poi era proprio quello che mancava. Avere la possibilità di fare questo personaggio all’interno di un gruppo strampalato, dal momento che non era soltanto il produttore inadeguato ma anche tutti gli altri componenti, ci ha dato la possibilità di trasmettere qualcosa di importante. Raccontava una situazione disperata in cui, per portare avanti un progetto, si creavano una serie di compromessi, paradossi e situazioni assurde che costringevano a far diventare un’altra cosa ciò che stavi realizzando. Incarnava tutti i difetti e i vizi di quando il nostro lavoro non è fatto come andrebbe fatto. Se paragoniamo, per esempio, “The Bad Guy” a “Gli occhi del cuore” stanno in antitesi.

Pensi che la televisione abbia imparato da “Boris”?

La televisione è come un rubinetto aperto: c’è di tutto ed è giusto che sia così. Esistono dei prodotti di tutti i tipi. I primi che hanno amato “Boris” sono stati gli addetti ai lavori e noi sappiamo che ci sono dei prodotti di largo consumo e prodotti più di nicchia e non pretendiamo che sia tutto omogeneo, anzi la diversità è una ricchezza.

C’è voglia di tornare in “Boris”?

Sì, sempre. Per noi è come se fosse una vacanza. Ci speriamo sempre e quando poi abbiamo la conferma che venga realizzata un’altra stagione siamo tutti contenti.

Se ne parla?

Se ne parla sempre.

Foto di Azzurra Primavera

Tu hai fatto parte di film importantissimi di Aldo, Giovanni e Giacomo, come “Così è la vita”, “Chiedimi se sono felice” e “La leggenda di Al, John e Jack”. Cosa ricordi con maggiore piacere del trio?

Sono state esperienze in cui ci siamo divertiti tanto e il loro umorismo mi ha sempre fatto molto ridere. È sempre stata la loro caratteristica quella di rappresentare un tipo di comicità quasi per bambini, molto ingenua, semplice e per niente volgare. Li abbiamo visti fare gli acrobati, i vecchietti, i sardi e tutto quel mondo che hanno riportato nei loro film rendevano la loro comicità pura, quasi da clown e che piace a tutti. Hanno avuto un successo nazionale, abbracciando tutti, da nord a sud.

Dalla comicità di Aldo, Giovanni e Giacomo a quella di Carlo Verdone. Com’è stato lavorare con lui?

Verdone è molto disponibile ed è un aspetto raro da trovare in un attore-regista. È molto generoso, ti dà molto spazio, crea sempre un clima molto rilassato e piacevole sul set. Io ho recitato in due suoi film e devo dire che ho bei ricordi e molto divertenti.

Un altro regista a cui sei molto legato è Gabriele Salvatores. Che cosa ha significato per te far parte di “Mediterraneo”, un film che ha vinto un Oscar?

In realtà non me ne sono nemmeno reso conto. È stato il secondo film che ho fatto nella mia carriera, a cui sono molto legato e che rivedo sempre molto volentieri perché non passa mai di moda: è sempre attuale, è stato una bella sorpresa e, analizzando il perché, si è capito che aveva tutti gli elementi giusti. Ai tempi, sono stato in Canada, al Festival di Toronto, ed è lì che la Miramax lo prese per portarlo in America ed è iniziato questo percorso che ha portato all’Oscar. Lì erano presenti molte etnie differenti: greci, libanesi, turchi etc. e, rivedendo quei luoghi e quei modelli di vita, si riconoscevano e si emozionavano tutti. Credo sia stata questa la bella chiave del film: l’aver proposto un modello di vita del passato che potesse essere ancora valido per il presente.

Con Salvatores si è creato un bel rapporto di stima, dal momento che hai fatto parte di quattro film diretti da lui…

Sì, adesso abbiamo girato anche “Napoli – New York”, che deve ancora uscire nelle sale probabilmente a fine anno. È un film che sono molto curioso di vedere, tratto da una sceneggiatura ripresa di Federico Fellini e Tullio Pinelli. Racconta di due scugnizzi, durante il dopoguerra, che partono per New York e lì avranno delle avventure. Nel cast ci sono anche Pierfrancesco Favino e Anna Ammirati.

Hai interpretato tanti personaggi iconici, se potessi rubare un ruolo a un tuo collega quale sceglieresti?

Mi sarebbe piaciuto interpretare Il Commissario Montalbano perché ha avuto un successo planetario e, da lettore di Camilleri, avrei voluto vestire i suoi panni per com’era scritto e per come lo ha interpretato, in modo magistrale, Luca Zingaretti.

Qual è secondo te, invece, quello che avrebbero voluto rubarti gli altri?

Credo che il Tenente Carmelo La Rosa sia uno dei personaggi che ho interpretato e che è riuscito particolarmente bene: è una persona entusiasta della vita e di tutte le opportunità che può creare. Irrompe improvvisamente all’interno della storia, si mette a mangiare con gli altri protagonisti, li aggiorna e se ne va. È un ruolo che un attore trova molto stimolante da interpretare.

Se fossi un giornalista, quale domanda faresti ad Antonio?

Chiederei in che tipo di film mi piacerebbe recitare in futuro e risponderei: “in un film sulla vecchiaia”.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Credo che il nostro cinema ci offra voci molto belle, che riescono a trasmettere calore e che devono star bene anche con le immagini. 

 

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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