Conosciamo bene l’Aurora Ruffino attrice per via delle sue importanti interpretazioni in serie tv e film di successo, come “Braccialetti Rossi”, “Bianca Come Il Latte, Rossa Come il Sangue”, “Noi”, “Black Out – Vite Sospese”, performance che ci hanno fatto ammirare la sua bravura sin da giovanissima. Quella che conoscevamo meno è l’Aurora scrittrice, una passione che l’attrice coltiva sin da quando era bambina e che l’ha portata a dar vita al suo primo libro: “Volevo Salvare I Colori”. Il romanzo, edito da Rizzoli, è nelle librerie dall’8 ottobre e racconta la storia di una ragazza, Vanessa, che deve convivere con il dolore causato dalla perdita della madre e che, in seguito alla scoperta di una farfalla che porta il suo stesso nome, decide di intraprendere un viaggio e di emulare il percorso del lepidottero: un percorso per affrontare il dolore e per imparare a volersi bene, anche per onorare e ricordare al meglio chi non c’è più.
Abbiamo intervistato proprio Aurora Ruffino per conoscere meglio alcuni aspetti di “Volevo Salvare I Colori”, per scoprire alcune curiosità riguardanti il suo romanzo e il suo amore per la scrittura, senza dimenticare le prossime esperienze che ci permetteranno di rivederla sul set. A voi…
Salve Aurora, bentornata su “La voce dello schermo”. Parliamo di “Volevo Salvare i colori”, rappresenta il tuo primo romanzo. Quali sono stati i motivi che ti hanno portato a mettere nero su bianco delle emozioni così importanti?
Salve a tutti, bentrovati. La scrittura è sempre stata la mia forma di espressione più autentica, forte e intima. Scrivo da quando ero bambina e sono sempre stata abituata a esprimere ciò che ho dentro attraverso un foglio e una penna. Per me non rappresenta una novità, ma un istinto che mi ha sempre accompagnata. Ho semplicemente seguito questo istinto perché, quando sento qualcosa, mi viene naturale trascriverlo su un pezzo di carta.
Come mai hai scelto queste tematiche?
Perché no? È una storia che dico sempre di aver subìto e, mentre scrivevo, non ero io che cercavo le parole, ma loro che trovavano me. È una storia che non potevo non scrivere.
Cosa rappresenta il titolo?
Il libro non è autobiografico, ma un romanzo. Tuttavia, il dolore di cui parlo è un sentimento che conosco, perché altrimenti non potrei raccontarlo. Tutti gli scrittori quando scrivono qualcosa riproducono parte del loro vissuto. “Volevo salvare i colori” è un’ossessione che ho sperimentato quando ero bambina. Mentre coloravo, mi davo 10 secondi di tempo per riuscire a finire di colorare il cielo o il prato e in quel modo, secondo me, l’avrei salvato dalla morte. Era il mio modo da bambina di cercare di tenere sotto controllo qualcosa di incontrollabile come la morte.
Perché è importante nel tuo romanzo la farfalla, simbolo di rinascita e di rigenerazione?
La protagonista, Vanessa, cresce con la passione per le farfalle perché non hanno bisogno di una madre per nascere. Quando scopre l’esistenza di una farfalla che porta il suo stesso nome, Vanessa del cardo, ne è incuriosita perché è speciale e fa il viaggio migratorio più lungo di tutte. Dal nord Europa arriva in Africa e, nel momento in cui ne scopre l’esistenza, decide di fare lo stesso viaggio e di scappare di casa, dopo averlo pianificato per due anni.
Il romanzo parla di come volersi bene. Come dimostri a te stessa di volerti bene?
Cercando di essere autentica e sincera con me stessa anche quando è difficile. Amore per se stessi significa avere il coraggio di essere autentici, di guardarsi dentro e di dire la verità prima a se stessi e poi agli altri ed è difficilissimo da fare.
Cosa deve aspettarsi la gente dal tuo libro?
Una lettura che possa in qualche modo regalare una coccola e una carezza a quelle persone che hanno affrontato o stanno affrontando un dolore legato a una perdita.
Ti piacerebbe venisse ne venisse realizzato un prodotto televisivo o cinematografico?
Sì, mi farebbe tanto piacere. Credo che una miniserie o una serie sarebbe il format più adatto, perché è ricco di avvenimenti e per un lungometraggio ci sarebbe troppo da approfondire.
Anche la recitazione ti ha permesso di esplorare le emozioni della vita attraverso le tue interpretazioni. Ad esempio in “Braccialetti Rossi” e in “Bianca come il latte, Rossa come il sangue” è stato raccontato il dolore attraverso varie sfaccettature. In “Noi”, invece, hai avuto modo di indagare sullo stato emotivo di una donna nelle varie fasi della vita. Secondo te, quali differenze presentano i modi di raccontare stati d’animo su un set o all’interno di un libro?
Sono totalmente diversi. Da attrice divento un’esecutrice di quanto scritto nel copione e devo mettere in atto ciò che mi viene detto o suggerito. La creatività diventa limitata alla volontà di altri. Con la scrittura sei tu libero di esprimerti esattamente come senti di farlo. Tante volte recitando siamo obbligati a rendere emozioni o fare cose che magari in quel momento non sentiamo. Con la scrittura sei sempre autentico. In questo momento sto scoprendo che l’autenticità attraverso la scrittura mi dona tanta felicità e le ultime due settimane mi è capitato di piangere di gioia e quanto mi sta accadendo mi sta dicendo tanto riguardo ciò che amo e quanto la scrittura sia una grande passione che mi fa stare molto bene.
Dove ti vedremo prossimamente?
Mi vedrete nella seconda stagione di “Black Out” a inizio prossimo anno e presenterò al Black Nights Film Festival la prima puntata di una serie estone che ho girato l’estate scorsa.
Se fossi una giornalista che domanda faresti ad Aurora?
Sarei incuriosita di capire il viaggio che ha fatto e quanto di reale o di fantastico ci sia in questo romanzo.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa ascoltare la voce delle persone che hanno il desiderio di comunicare qualcosa.
Di Francesco Sciortino