Claudia Marchiori è un’artista poliedrica, oltre a essere una talentuosa attrice, infatti, non ha mai posto limiti alle proprie passioni. Appassionata di pittura, di musica e autrice di un libro che racchiude alcune filastrocche del repertorio veneto, Claudia ci ha regalato diverse interessanti interpretazioni nella sua carriera, tra le più importanti ci sono quelle in “Ennio Doris – C’è Anche domani” nei panni di Agnese, la madre di Doris, e ne “Il nostro generale”, serie televisiva con protagonista Sergio Castellitto in cui ha vestito i panni di Emanuela Setti Carraro.
Abbiamo intervistato su “La voce dello schermo” Claudia Marchiori, che si è raccontata parlandoci della recente esperienza in “Ennio Doris – C’è Anche domani”, in cui ha dovuto raccontare il cambiamento fisico del suo personaggio dovuto agli anni che passano. L’attrice ha proseguito raccontando, inoltre, quanto sia stato fondamentale per lei essere diretta da Giacomo Campiotti e confrontarsi con la sua imprevedibilità. Infine, Claudia ci ha confidato le proprie sensazioni nell’interpretare Emanuela Setti Carraro in “Nostro Generale” e altre curiosità che la riguardano. A voi…

Salve Claudia, benvenuta su “La voce dello schermo”. Di recente ti abbiamo vista in “Ennio Doris – C’è anche domani”. Che esperienza è stata per te?
Salve a tutti, grazie. È stato interessante raccontare la storia di Ennio Doris, una personalità molto vicina alla mia città, dal momento che proveniva da Padova. Ho avuto la possibilità e l’onore di interpretare sua madre, Agnese, ed è stato un ruolo meraviglioso che mi ha permesso di sperimentare anche un’evoluzione d’età, approfondendo dai suoi 25 anni fino ai 50. Ho dovuto fare un bel lavoro di trucco e parrucco e di costruzione del personaggio.
Hai dovuto trasformarti. Com’è stato vederti cambiare negli anni?
È stato molto stimolante e ho affrontato tutto con leggerezza. Nel momento in cui mi sono trasformata, diventando più vecchia, ho detto: “ho sconfitto la morte!” (ride ndr.) ed è stato divertente, non mi ha fatto paura ma mi ha fatto riflettere raccontare il viso attraverso le rughe. A volte si fa fatica ad accettare il passare del tempo e magari si ricorre alla chirurgia per non far vedere il cambiamento, io mi auguro di non dovere mai affrontare nessun trattamento estetico perché guardo mia nonna ed è meravigliosa e vorrei essere così naturale anche io quando avrò la sua età.
Quanto è importante per un’attrice trasformarsi?
Per me la trasformazione è essenziale perché se ci sono dei ruoli simili a come sono nella realtà mi sento più scoperta e preferisco i personaggi che prevedono una trasformazione fisica, vocalica e caratteriale.
Com’è stato lavorare con Giacomo Campiotti?
È un regista impegnativo, magico e creativo. Riesce a cambiare idea all’ultimo minuto ma sempre con coerenza nei confronti della storia. Lo conosco dai tempi de “La sposa”, serie tv con Serena Rossi e il suo modo di cambiare idea mi ha messa in difficoltà, ma era un modo stimolante di mettersi alla prova. Esce spesso dagli schemi e con lui ho imparato a gestire l’imprevedibilità del set perché, uscendo dall’accademia, ero più abituata a un approccio di quel tipo. Tuttavia, avendolo già conosciuto in precedenza ed essendo più matura, in “Ennio Doris – C’è anche domani” ero più preparata, ho avuto meno difficoltà, mi sono affidata alla sua visione e ho deciso di accoglierla al cento per cento.
Che attrice ti definiresti?
Cerco di non identificarmi con il lavoro, ma provo a capire chi sono in tutti i contesti della mia vita. Amo dare voce ai progetti e ai personaggi che abbiano un vissuto e un contenuto che mi tocchino il cuore. Di conseguenza, mi piace sempre esplorare una verità a me sconosciuta, scoprirla e comprenderla.
Qual è stato il ruolo che ti ha toccato maggiormente durante la tua carriera?
Sicuramente Emanuela Setti Carraro ne “Il Nostro Generale”, la serie con Sergio Castellitto nei panni di Dalla Chiesa. Emanuela era una persona speciale, ho studiato tanto la sua vita e ho letto le lettere che scriveva a Carlo Alberto. Mi ha toccato tanto quello che ha vissuto, essendo stata uccisa con Carlo Alberto. Era andata contro gli schemi, perché si è innamorata a trent’anni di un uomo che le avrebbe dato un futuro complicato davanti, sia a livello sociale sia di vita perché era sempre in pericolo, e infatti è morta in un attentato. Studiando le sue lettere, cercando di ascoltarla, ho avvertito la sensazione che fosse incinta e nell’interpretarla c’era qualcosa di bello e di importante che arrivava al cuore.
Di recente ti sei cimentata anche nella scrittura…
Sì, ho scritto un libro che si intitola “Contime” ed è una raccolta di filastrocche tramandate in veneto, che ho tradotto in italiano, inserendo dei rimandi storici della cultura tradizionale veneta e dei ricordi di mio padre. Mi sta molto a cuore, nonostante sia un argomento di nicchia, perché mi metteva tristezza l’idea che potessero essere dimenticate e ci tenevo a tramandarle. Non essendoci un libro che le raccogliesse, ho deciso di realizzarne uno per le persone che un giorno si sveglieranno e si chiederanno come fosse il mondo in passato.
Quali opportunità ti offre la scrittura collegandola alla recitazione?
La scrittura è sempre stata parte della mia vita, scrivendo alcune sceneggiature e inventandomi personaggi o monologhi per reinterpretarli. La considero fondamentale perché mi aiuta a lavorare su progetti che vengono assegnati e su battute che non sono scritte da me. Se sai scrivere, riesci a interpretare ciò che viene scritto dagli altri perché, attraverso la scrittura emotiva, si possono colmare delle lacune su ciò che non è espresso. Scrivere è importante per riempire i vuoti e comprendere cosa possa essere funzionale per interpretare al meglio un ruolo.
Un’altra delle tue passioni è la musica. Cosa rappresenta per te?
Quando fai l’attrice interpreti parole che vengono scritte e assegnate. Mi piace esprimermi e la scrittura all’interno di un testo o di una canzone mi permette di far uscire fuori le emozioni che ho dentro. Attraverso il canto divento espressione libera e diretta di me stessa.
Cos’è per te la recitazione?
Non mi piace tanto il termine ‘recitazione’ perché, secondo me, è riduttivo. Più che interpretare qualcosa di qualcun altro, nel mio lavoro provo a vivere accogliendo una visione diversa dalla mia. È un gioco che ti mette nella condizione di divertirti e di sperimentare, senza alcuna paura. Ho un modo di intendere la recitazione più vicina alla visione inglese, che utilizza il termine “to play” per indicare un ruolo che si interpreta.
In cosa ti piacerebbe metterti alla prova in futuro?
Mi piacerebbe poter interpretare tanti ruoli da protagonista in dei film d’autore ed esprimermi nella musica come autrice per raccontare emozioni che mi appartengono.
Se fossi una giornalista che domanda faresti a Claudia?
Le chiederei come vive il rapporto con la pittura e risponderei che sono laureata in questa disciplina, all’accademia delle belle arti di Venezia. Da quando sono piccola dipingo e, ancor prima di scoprire la recitazione, utilizzavo la pittura per esprimermi.
Che ricordi hai di “Romulus”, invece?
È stata una delle mie prime esperienze. Poter partecipare a questa serie diretta da Matteo Rovere è stato emozionante, divertente e stimolante e mi ha permesso di mettermi in gioco con il protolatino. Ho scoperto di poter interpretare una lingua, capendone il senso, anche non conoscendola ma entrandoci dentro con l’anima. Il set era fantastico e c’è stato un grande lavoro scenografico di ricostruzione.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa prendere spunto da ciò che ci suggerisce lo schermo e averne comunque una propria visione.
*Foto della gallery di Riccardo Riande
Di Francesco Sciortino