La voce dello schermo ha avuto il piacere di intervistare Claudia Vismara, la Caterina Rispoli di “Rocco Schiavone”, amatissima serie tv di Rai Due. L’attrice di Bollate ha parlato del suo rapporto con Marco Giallini, sottolineandone la professionalità e l’umiltà nonostante sia uno dei migliori attori italiani in circolazione; si è soffermata su quanto sia importante per il nostro Paese realizzare prodotti come “Rocco Schiavone”, lontani dai soliti cliché a cui siamo spesso abituati guardando tante serie nostrane; ha parlato della sua Caterina, che dovrà ancora penare prima di rientrare nel cuore di Schiavone; e ha annunciato infine la sua partecipazione alla seconda stagione di “Nero a metà”.
Salve Claudia. Benvenuta su “La voce dello schermo”. “Rocco Schiavone” ha segnato la tua consacrazione al grande pubblico. Che ricordo hai del primo giorno di set?
Salve a tutti. Ricordo il primo giorno di set come se fosse ieri. Giravamo in notturna: la scena in questione era quella del ritrovamento del cadavere schiacciato dal gatto delle nevi, quindi eravamo in mezzo al nulla, tra le piste da sci. La temperatura era sotto zero e dopo ore e ore passate al gelo, affondando nelle neve, sentivamo così freddo che quasi non riuscivamo a parlare e si era formato del ghiaccio all’interno dei nostri scarponi! Diciamo che è stato abbastanza provante come primo giorno di set, ma allo stesso tempo emozionante, vista la grande cura con cui era stata ricostruita la scena del crimine: ricordo che stavo lì, con il mio distintivo appeso al collo, tra cadaveri e sangue finto, e di essermi sentita realmente un’ispettrice che stava indagando su un omicidio.
Cosa ti piace di più dell’interpretare Caterina?
Caterina è un personaggio che ho molto amato, perché sempre contraddittoria: forte in apparenza e fragile sotto la maschera; ambiziosa ma insicura; morbida ma allo stesso tempo dura. Femmina, ma da qualche parte anche un po’ maschio.
Tu hai dovuto confrontarti con un mostro sacro della recitazione italiana, ovvero Marco Giallini. Com’è stato recitare al suo fianco? Ti ha mai intimorito questo aspetto?
All’inizio ovviamente sì; Marco ha una personalità così forte che è quasi impossibile non esserne travolti e questo può inibire un po’ la propria artisticità. Ma basta pochissimo tempo passato in sua compagnia sul set per rendersi conto che, una volta domato il vulcano, tutto quel caos pulsante che è in lui, è in realtà un motore attoriale fantastico, una continua fucina di stimoli, che smette di spaventarti e inizia invece ad accenderti. Quindi in definitiva posso dire che è molto facile lavorare con Giallini, perché lui è talmente bravo e talmente naturale, da rendere qualunque scena una passeggiata. È un attore generosissimo, da un punto di vista artistico ma anche umano, molto rispettoso del lavoro di tutti, nonché amato da tutti sul set. Se c’è una cosa di cui gli va assolutamente dato merito è il suo anti-divismo, nonostante sia un divo a tutti gli effetti.
Qual è stata la cosa più curiosa che ti sia mai capitata sul set?
Ci si aspetta sempre che su un set accadano cose incredibili ed eccitanti, ma purtroppo non è esattamente così. Mi spiace se la mia risposta deluderà qualche lettore. Non dico che ci si annoi, per carità. In questa serie abbiamo condiviso un sacco di momenti stupendi visto che, per fortuna, siamo un gruppo molto unito e molto vitale, anzi siamo proprio dei “cazzari”, come direbbe Schiavone. Ad esempio ricordo una serata ad Aosta, con Giallini, Manzini e tutti noi della squadra, fuori dal nostro hotel, a ridere come dei cretini per ore (il duo Manzini-Giallini è davvero notevole in quanto a battute). Ma il set è anche fatto di molte pause, di tanti tecnicismi, di lunghissime attese, quindi non è detto che avvengano cose curiose. Anzi, la bellezza di un set, quando è un buon set, è proprio il suo trasformarsi in una famiglia, il potersi sentire a casa, in relax.
“Rocco Schiavone” è un prodotto se vogliamo perfetto nell’imperfezione (scomodo, spregiudicato, innovativo). Quanto è importante per il nostro paese realizzare prodotti come questo? Quali sono gli aspetti che ami di più della serie?
È importantissimo per il nostro Paese realizzare prodotti così. Anzi, sembra assurdo che la maggior parte dei nostri prodotti siano ancora così datati, nella scrittura e nella realizzazione. Non siamo ancora riusciti a scrollarci di dosso il politically correct e finiamo sempre per produrre prodotti rassicuranti, di facile comprensione, terribilmente banali, che funzionano per un certo tipo di pubblico, ma che hanno anche allontanato buona parte del pubblico più giovane e più esigente. Ovviamente le nuove piattaforme stanno aiutando a svecchiare questo sistema, per fortuna, ma la strada è ancora lunga per raggiungere il livello della serialità internazionale. “Rocco Schiavone”, nella sua spregiudicatezza e nella sua scomodità, ha sicuramente rotto gli schemi made in RAI ed è servita da traino per numerose altre serie, che hanno scelto un linguaggio altrettanto crudo, una fotografia altrettanto cinematografica e un notevole impatto visivo. Non a caso Rocco Schiavone è stata venduta in tutto il mondo.
Si era parlato di uno spostamento su Rai Uno. Come avreste preso voi del cast questa notizia?
Noi del cast non avevamo preso benissimo la notizia. Ovviamente questa scelta avrebbe ampliato di tanto i nostri ascolti, ma avrebbe completamente snaturato il progetto: niente più spinelli, niente parolacce, una fotografia meno cupa, immagini più rassicuranti. Non sarebbe più stato Rocco Schiavone. E chi ama questa serie non ne avrebbe mai accettato una versione edulcorata. Quindi per me la scelta di restare su Rai2 è stata giustissima.
Hai novità riguardo la quarta stagione?
Non ci hanno ancora mandato le sceneggiature, quindi non so ancora quanto sarà presente Caterina Rispoli. Manzini mi aveva accennato qualche tempo fa a possibili importanti sviluppi per la nostra poliziotta, ma temo che per quelli si debba aspettare ancora un po’. E del resto Caterina ha tradito Rocco, quindi per un po’ “ha da penà!
Hai degli altri progetti da presentarci?
A breve andrà in onda la seconda stagione di “Nero a metà”, dove interpreto Monica Porta, una new entry della serie. Monica è una psicoterapeuta che si occupa di servizi sociali e che finirà per innamorarsi di uno dei due protagonisti, anche se ora non vi posso svelare di chi. Inoltre, dal 12 al 17 maggio, sarò in scena al teatro Vascello di Roma con uno spettacolo a cui tengo tantissimo: “La consuetudine frastagliata dell’averti accanto”, di Marco Andreoli. È un testo bellissimo, scritto apposta dall’autore per me e Daniele Pilli, il mio compagno, e ne abbiamo curato la regia e la produzione. Riassumervi di cosa parli sarebbe veramente difficilissimo, perché la trama è complessa e articolata, ma posso solo accennarvi che parla di amore, di relazione, di tempo, di universi parallele e di possibilità mancate, con grande arguzia e grande poesia. Si ride e si piange. Dal momento che, quando l’abbiamo presentato in anteprima, in così tanti ci hanno chiesto una trascrizione cinematografica abbiamo pensato di realizzarla! Stiamo muovendo i primi passi con Andreoli verso la stesura di un soggetto. Spero di potervi dare presto notizie, nel mentre non mi resta che invitarvi a teatro.
Quali sono gli altri lavori a cui sei più legata e perché?
Un altro lavoro a cui sono molto legata è il film “Acqua di marzo”, di Ciro De Caro. Un’opera seconda delicata, che parla della difficoltà delle relazioni amorose, ma anche delle difficoltà di crescere, di assumersi le proprie responsabilità, di abbandonare la propria fanciullezza e di guardare in faccia la realtà. Francesca, il personaggio che interpreto nel film, è un’attrice irrealizzata che sogna una grande carriera, ma che sembra non avere il coraggio di affrontare. Esplorare la sua fragilità è stato molto interessante, anche perché in alcune delle sue paure potevo tranquillamente riconoscermi: l’incertezza del domani, la sensazione che tutto sia precario, passeggero, la difficoltà di afferrare il presente e viverlo senza remore… Sarà solo dopo una serie di incontri, di drammi e di fallimenti che Francesca subirà una specie di catarsi e si libererà delle sue paure per essere finalmente se stessa. “Non mi sono allenata” dice Francesca. “Non ho tentato quando il tutto sarebbe stato senza rischi. Non mi sono mai data la possibilità di sbagliare, di cadere, e di vedere che era possibile rialzarmi. L’audacia è una cosa che se non la coltivi si consuma. E ti consuma. Brucia tutto il tuo ossigeno prima di spegnersi. E ti lascia come un vecchio anchilosato, pieno di rimpianti e di ricordi, e con le ossa rotte.”
Un personaggio che ti sarebbe piaciuto interpretare in un tuo film o serie tv preferita?
Oh tantissimi! Aileen Wuornos (Charlize Theron) nel film “Monster”, April (Kate Winslet) in “Revolutionary Road”, Jasmine (Cate Blanchett) in “Blue Jasmine”, Daenerys (Emilia Clarke) in “Game of Thrones”, solo per dirne alcuni.
Un regista con cui ti piacerebbe lavorare…
Mi piacerebbe tantissimo lavorare con Sam Mendes, uno dei registi più eclettici e strepitosi dei nostri tempi, a mio avviso.
Questo portale si chiama “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Che domanda difficile, è rivolta all’attrice o alla spettatrice? Potrei dire che ascoltare la voce dello schermo significa non far spegnere mai quella fiammella emotiva ed evocativa che solo il grande cinema e la grande serialità sanno accendere; cercare di comprendere linguaggi nuovi, scovare i contenuti più indipendenti e sostenerli, ma forse più di tutto: continuare ad appassionarsi, a sorprendersi, a ridere e a commuoversi davanti a un buon film o una bella serie.
Di Francesco Sciortino