I primi sei episodi della nuova stagione di “Mare Fuori”, serie co-prodotta da Rai Fiction e dalla Picomedia di Roberto Sessa, hanno fatto il proprio debutto su RaiPlay il 12 marzo, registrando ancora una volta un record di visualizzazione e lasciando il pubblico col fiato sospeso in vista del rilascio dei restanti 6 episodi del 26 marzo. La serie, però, tornerà a tenere compagnia anche al pubblico di Rai Due, con due episodi a settimana, proprio dal 26 per sei settimane. Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, Enrico Tijani che in questa stagione è chiamato a raccontare un Diego “Dobermann” molto cupo e allo sbando, in seguito alla partenza di Kubra. L’attore ha parlato degli aspetti che ama della serie e del suo personaggio, di come “Mare Fuori” l’abbia messo alla prova in televisione e a teatro, e ci ha confidato il profondo legame che lo lega sia a Napoli sia al Ghana e alla Nigeria. A voi…

Salve Enrico, benvenuto su “La voce dello schermo”. Durante i nuovi episodi di “Mare Fuori” stiamo vedendo un Diego distrutto e perso. Quali aspetti della nuova stagione ti è piaciuto raccontare?
Salve a tutti, grazie. Mi è piaciuto raccontare la passività, la solitudine e la delusione che accompagna Diego in seguito alla partenza di Kubra, il suo amore perduto. Mi sono focalizzato sul sentirsi vuoto e sul non provare emozioni come gioia, tristezza, rabbia e soprattutto paura e questo può essere molto rischioso perché è lei che ci rende razionali e ci fa percepire il pericolo.
Cosa ami di Diego?
Ho sempre amato la sua determinazione, il suo essere emotivo, vulnerabile e furbo. All’inizio ci sembrava cattivo ma era soltanto uno scudo per sentirsi integrato e accettato dai suoi fratelli Cucciolo e Micciarella, che avevano altri obiettivi di vita e che rappresentano la sua casa. In fondo è un buono e, grazie a Kubra, era riuscito a isolarsi da queste situazioni, che a lui interessano poco, e a dedicarsi all’amore. Amo questa sua profondità.
Di “Mare Fuori”, invece?
Mi piace il messaggio di speranza, che invita a non mollare perché c’è sempre chi sta peggio. Da esseri umani ci accontentiamo e non ci guardiamo abbastanza intorno. Ci lamentiamo spesso di cose futili, ma se fossimo più empatici saremmo più contenti e grati dalla vita. Mi piace che la serie offra una prospettiva di una nuova vita.
Che stagione dobbiamo aspettarci?
Ci aspetta una bella stagione dark, creata da Ludovico Di Martino. È stato un piacere girare con lui e ho sempre creduto nella sua visione, amo il modo in cui lavora. Ha un approccio particolare nel dedicarsi sia alla sceneggiatura sia all’attore ed è stato molto bravo con noi ragazzi. Durante tutta la serie ho respirato un senso d’angoscia ed è un’emozione profonda. Quest’anno i personaggi hanno a che fare con il loro ‘io’ interiore, si pongono le loro domande e pensano al futuro. Troveremo un “Mare Fuori” più maturo.
Come hai vissuto il “Mare Fuori” di Silvestrini, invece?
È stato il mio inizio e ringrazierò sempre Ivan per aver creduto in me e per avermi dato l’opportunità di iniziare e di affacciarmi all’arte, al cinema, alle serie tv e alla recitazione. Ho sempre avvertito un disagio nell’esprimermi e attraverso questo mondo ci sto riuscendo e ne sono molto contento. Ivan è un regista molto capace con i ragazzi, a fare gruppo, a creare delle dinamiche e a far sentire tutti a casa. Sono onorato di aver lavorato con lui.
Sei anche nel musical di “Mare Fuori” a teatro. Com’è andata su un palco?
Anche lì ho provato emozioni indescrivibili. Il teatro offre un altro tipo di scuola, molto formativa e intensa. Ho vissuto momenti bellissimi e ho conosciuto artisti molto bravi e da cui ho potuto attingere tanto. È stato importante essere diretto da Alessandro Siani e molto bello. A teatro sei chiuso in una scatola, sei protetto dagli altri personaggi, non si ferma mai e mostra il bello del live. Il cinema e le serie tv offrono più pause, mentre su un palco è un flusso unico. Sono due scuole diverse ma che percorrono lo stesso binario e ti insegnano tanto.
La canzone che Dobermann dedica a Kubra è diventata virale lo scorso anno. Com’è nata quella scena?
È nata in sceneggiatura e l’ho seguita. Dobermann era avvolto in un involucro e perso nel suo amore. Istintivamente si sentiva di dedicare una canzone a Kubra e l’ha fatto. Apprezzo tanto questi gesti, perché richiedono molto coraggio, specialmente in un contesto in cui tutti sono chiusi o pronti a giudicare. Ammiro le persone che non temono il giudizio altrui.
Nonostante tu sia napoletano, hai mantenuto il tuo legame con l’Africa. Come vivi il tuo rapporto con le due terre?
Sono nato e cresciuto a Napoli, ma ho anche vissuto quattro anni della mia vita in Ghana e mia madre è nigeriana e sono stato anche lì. Sono innamorato della mia terra e del mio multiculturalismo. Non sono vanitoso ma vado fiero delle mie origini e cammino a testa alta. Mi ritengo napoletano, ghanese e nigeriano ed è per me una ricchezza enorme, perché sono tre popoli ricchi di cultura tra musica, arte e tanti altri aspetti. Voglio essere capace di attingere da tutta questa arte che mi circonda per creare la mia persona e per crescere.
In cosa ti senti napoletano, in cosa ghanese e in cosa nigeriano?
Mi sento napoletano in tutto, nei modi di fare e di pensare ma, allo stesso momento, ripeto sempre che Napoli potrebbe essere senza problemi una città sia ghanese sia nigeriana, perché sono popoli molto simili tra loro e non ho mai percepito tante differenze.
Hai dovuto fare i conti con alcune situazioni di razzismo. Come pensi sia la situazione in questi anni?
Ho vissuto episodi lievi di razzismo, però sono molto fiducioso perché gli anni passano, le cose e le persone cambiano, sono più aperte, viaggiano, conoscono e accettano di più il mondo e sono speranzoso perché sta cambiando e sono sicuro che arriveremo, un giorno, a capire che non conta più come sei fatto e da dove vieni ma che persona sei, che anima hai e se sei una persona perbene che vuole la pace comune. Ricordarsi sempre le origini è importante, perché ognuno di noi porta la sua cultura, ma questo non vuol dire essere diversi e divisi, anzi. Vuol dire piuttosto unire le nostre forze per un mondo migliore.

In che ruolo ti vedi dopo “Mare Fuori”?
Sono aperto a tutto, sto studiando e mi sto preparando a nuovi personaggi e proposte lavorative. Mi piacerebbe interpretare un personaggio con problemi psicologici, drammatico, cupo e con tante sfaccettature.
Se fossi un giornalista che domanda faresti a Enrico?
Gli chiederei: “Perché, secondo te, non c’è ancora abbastanza amore nel mondo nel 2025?” e risponderebbe: “Perché l’uomo non ha imparato ancora a guardarsi attorno”. Credo che non siamo abbastanza empatici, ma ci arriveremo con il tempo. Ci lamentiamo sempre perché non ci guardiamo intorno. Quando capiremo che ci lamentiamo di cose futili, inizieremo ad apprezzare più il mondo e a capire veramente il valore della vita. Il tempo è una cosa importantissima, non bisogna perderlo e lo dobbiamo utilizzare per fare del bene e per amare il mondo.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa farsi irradiare dalle emozioni.
Di Francesco Sciortino