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Sab. Dic 21st, 2024

Intervista a Federico Dordei: “Far parte di ‘2 Broke Girls’ e di ‘Luckytown’ è stato indimenticabile, ma ‘Il Patriarca’ ha rappresentato l’occasione che aspettavo da una vita” L’attore si racconta su “La voce dello schermo” parlando de “Il Patriarca”, del personaggio di Raoul e ripercorrendo le tappe più importanti della propria carriera: dall’indimenticabile Luis di “2 Broke Girls” ai film al fianco di grandi come James Caan, Kirsten Dunst e Rob Schneider.

Dic 18, 2024

Il Patriarca” volge al termine e l’ultima puntata della serie diretta da Claudio Amendola andrà in onda venerdì 20 dicembre. Anche questa stagione ci ha saputo tenere incollati davanti allo schermo e ci ha regalato belle sorprese. Una di queste è senza dubbio la grande prova di Federico Dordei nei panni dell’antagonista di Nemo Bandera, Raoul Morabito, che segna il ritorno in Italia di un attore straordinario che abbiamo lasciato andare troppo presto. Federico ha, infatti, percorso un cammino quasi paradossale, che l’ha visto imporsi nell’incredibile mondo della serialità e del cinema americano ma che in Italia non abbiamo saputo scoprire prima de “Il Patriarca”.
Abbiamo avuto l’onore e il piacere di intervistare Federico su “La voce dello schermo” che ci ha regalato un’interessantissima chiacchierata. L’attore ha parlato di cosa abbia significato per lui far parte della serie in onda in queste settimane su Canale 5, ha raccontato il fascino che ha rappresentato per lui interpretare Raoul, ha ricordato gli anni in set importanti come “2 Broke Girls”, in cui ci ha offerto una delle sue interpretazioni più brillanti nei panni di Luis; in “Luckytown” al fianco di attori fenomenali come James Caan e Kirsten Dunst e in “Deuce Bigalow – Puttano in saldo”. Infine, con grande sorpresa, Federico ci ha confidato che, nonostante le grandi soddisfazioni raccolte oltreoceano, “Il Patriarca” ha simboleggiato per lui la realizzazione di un sogno nel cassetto e che si augura possa sancire l’inizio di un’interessante carriera nei prodotti made in Italy. A voi…

Salve Federico, benvenuto su “La voce dello schermo”. Partiamo ovviamente da “Il Patriarca”, quali sono stati gli aspetti che hai amato della serie?

Salve a tutti, grazie. Quello che mi ha colpito di più nel lavorare nella serie è stata l’energia che si respirava grazie a Claudio Amendola e ho visto una situazione familiare a cui non ero abituato. I set di cui avevo fatto parte rappresentavano maggiormente delle location professionali, dove ognuno faceva il proprio compito ma c’era poca familiarità. “Il Patriarca”, invece, mi ha fatto sentire come se avessi una famiglia con cui giocare insieme con professionalità. Mi piacevano da morire i colpi di scena alla lettura degli script e ogni volta che li leggevo ne rimanevo sempre colpito e mi elettrizzavano. Ho l’abitudine di leggere solamente la scena che sto girando e cerco di non sapere ciò che accade dopo per non essere portato fuori strada a livello di recitazione. Avevo visto la prima stagione e ho amato Mario Rizzi per la maniera di farsi odiare, mi piacevano i personaggi e sono sempre stato un grande fan di Claudio Amendola che adoravo fin da prima di partire per l’America.

E di Raoul cosa ti ha affascinato?

Interpretare Raoul è stata una bella prova perché è talmente spietato che è stato divertente rappresentare il mio contrario. L’aspetto che più mi ha affascinato è stato che, sin da quando ho cominciato a recitare, ho sempre avuto il desiderio di interpretare un ruolo che richiamasse al temperamento di mio padre e Raoul me lo ricordava molto, ovviamente soltanto nel modo di fare. Infatti, mi sono ispirato a lui nel modo di parlare, nelle pause e ho per certi versi imitato mio padre.

Che rapporto hai creato con questo antagonista?

Durante la scena in cui Daniel scopre che il padre ha fatto uccidere il bambino per incastrare Nemo e in cui dico a mia moglie di fargli star bene la cosa, nello script c’era scritto: “nessuno nasce cattivo” e ho detto a Claudio di non poter dire questa battuta, perché nessuno si reputa cattivo e nemmeno io mi sarei reputato cattivo, e alla fine ho detto: “nessuno nasce ferito”. Interpretando Raoul mi definivo in questo modo, perché è stato ferito a tal punto da Nemo da giovane da cercare per anni una vendetta. La voglia di vendicarsi l’ha portato a fare cose disumane, come uccidere un bambino, e l’unica cosa che vede è soltanto il traguardo rappresentato dalla vendetta che gli ribolle da trent’anni. Raoul pensa continuamente: “sono ferito e mi voglio vendicare”. Non pensavo se il mio personaggio sarebbe stato amato o no dal pubblico, ero concentrato a dare il meglio di me al personaggio, a dargli giustizia e a farlo in maniera reale. Raoul è talmente odiato che le persone pensano che sia così nella realtà e per certi versi mi fa piacere perché capisco di averlo fatto talmente bene al punto di farmi odiare.

Raoul è diviso tra due donne in maniera diversa. Com’è stato creare questo rapporto differente?

Da attore mi ha dato la possibilità di lavorare con due attrici del tutto diverse e c’erano due sintonie e modi di recitare differenti. Raoul con Giulia Bevilacqua veniva in maniera differente rispetto a quello che vediamo con Alice Torriani per il loro modo di essere diverse. A livello di personaggio, invece, l’ho dovuto rendere un po’ donnaiolo, attingendo magari a una filosofia più giovanile e superficiale che portava a vedere il tradimento fisico come una cosa quasi normale. 

Ogni rapporto è segnato da una lotta di potere: con Nemo, con la moglie Monica e con la sindaca…

Sì, ma credo che siano lotte di potere profondamente differenti. Raoul è un personaggio caratterizzato da una grande misoginia, molto maschilista e che crede di manipolare le donne a proprio piacimento. Nel momento in cui vede Monica arrabbiarsi con lui, reagisce con delle risate o smorfie che fanno comprendere il suo grande potere nei confronti delle donne, così come con la sindaca, ma con lei ha un obiettivo: farla innamorare di lui per ottenere ciò che vuole, la usa e non gli importa molto di lei. Raoul le fa capire di non giocare, di non scherzare, di comprendere le regole ed è sempre lui in potere con entrambe. Con Nemo la situazione è ben diversa. Il nemico lo intimorisce, lo fa sentire testa a testa, sente un po’ di paura perché sa quanto sia forte, intelligente, che non ci si può scherzare e che deve stare ben attento.

Raoul è tornato a Levante per vendicarsi, tu come mai sei tornato in Italia?

Il mio ritorno in Italia è avvenuto in modo particolare: in seguito allo sciopero degli attori che c’è stato lo scorso anno fino a settembre a Los Angeles, ho avuto la possibilità di rivedere i miei affetti che vivevano qui e che non vedevo da anni. Nel frattempo, la mia amica, diventata agente, mi ha chiesto se poteva mandarmi a qualche provino, l’ho superato e sono rimasto a girare la serie.

Sei nato in Giordania, hai vissuto a Roma ma è a Los Angeles che è arrivata la svolta…

Mi sono trasferito da bambino, a tre anni, in Italia per cui sono cresciuto in Italia. La mia infanzia e adolescenza l’ho trascorsa qui. Prima dei diciassette anni, non avevo mai provato a fare cinema. A quell’età sono andato in America con l’obiettivo di fare la scuola di recitazione e di tornare in Italia dopo aver studiato negli States. Ma, dopo essere tornato per alcuni mesi a Roma, ho visto che non riuscivo ad avere le mie opportunità e che non si aprivano porte. Sono tornato in America e, al contrario, mi ritagliavo grande spazio e, se mi approcciavo con professionalità e grande studio, ottenevo risultati. Ho lavorato a progetti molto grossi, ma dentro di me ho sempre voluto lavorare in italiano e in un progetto del mio Paese. Ho avuto gratificazioni grandissime, come in “2 Broke Girls”, ma la soddisfazione che mi ha dato “Il Patriarca” è stata la più grande della mia carriera. Le opportunità sono arrivate grazie alla casting director Elisabetta Curcio, alla mia agente Valentina Calabrò e a Claudio Amendola, perché senza di lui non so se avrei mai potuto lavorare in Italia perché è un circolo un po’ chiuso, lui mi ha aperto la porta, ha convinto tutti e gli devo la mia carriera nel nostro Paese.

Durante la tua carriera hai esplorato il fascino della commedia e quello del dramma, dimostrando grande versatilità. Come si affrontano generi diversi?

Trovo stimolante e mi esalta interpretare personaggi del tutto diversi. Non c’è niente di me in Raoul, non c’era niente di me in Luis in “2 Broke Girls” ed è raro che io interpreti un personaggio simile a me. Tuttavia, interpretare i personaggi comici mi viene molto facile e naturale perché ho una personalità che si presta al genere, ho un senso dell’umorismo spiccato e una sensibilità molto femminile che aiuta nell’interpretazione. L’attitudine comica mi viene spontanea e in America è stato il mio punto di forza che mi ha permesso di farmi apprezzare dalla gente. Adoro fare le commedie, possono tirar fuori la mia personalità e il mio senso dell’umorismo. Quando abbiamo finito di girare “Il Patriarca” ho chiesto a Claudio: “Mi raccomando, se decidi di fare nuovi film su ‘Er Monnezza’, chiamami!”. Nei ruoli drammatici devo lavorarci molto di più, avvicinarmi maggiormente al personaggio macho e il genere mi obbliga a una maggiore esplorazione del carattere, della voce, del portamento per renderlo il più realistico possibile. Nella commedia gioco di più, mentre nel dramma ho un lavoro maggiore da fare.

Hai una grande espressività e sei molto comunicativo quando reciti. Basta un mezzo sorriso o un’espressione per comunicare qualcosa. Quanto è importante per te questo aspetto?

È tutto. Amo vedere nella faccia dell’attore quello che sta pensando quando l’altro sta parlando e cerco di essere sempre presente in quei momenti. L’espressività mi viene naturale, perché ho sempre pensieri in testa. Se l’altro attore o attrice mi sta parlando, sto ascoltando la battuta, sto attento e dentro la mia mente si innescano degli effetti. Quegli effetti provocano come conseguenza espressioni in me naturali che rappresentano pensieri che mi metto in testa mentre l’altro parla o prima di dire qualcosa. Mi piace vedere queste espressioni perché so che ci sono dei pensieri e non è qualcosa di meccanico come: “è il mio turno, ora dico la mia battuta”.

Tra tanti set internazionali quali sono quelli che ti sono rimasti più nel cuore e perché?

Sicuramente “2 broke girls” perché è stato uno show di una lunga durata, che abbiamo fatto davanti al live audience e quell’anno lì non me lo dimenticherò mai. Era un modo di girare un po’ stressante, ero subito super impaurito perché giravamo la scena davanti al pubblico e se non rideva si sarebbe fermato tutto, gli scrittori si sarebbero messi da parte per cambiare la battuta, l’avrei dovuta imparare in un minuto e c’era costantemente la preoccupazione di dover far ridere il pubblico. È stata un’esperienza che non potrò mai scordare per vari motivi. Inoltre sono molto legato a “Deuce Bigalow – Puttano in saldo”, prodotto da Adam Sandler e con Rob Schneider, che mi ha permesso di lavorare con i comici che erano miei idoli americani e che stimavo per la loro comicità e infine non posso non citare “Luckytown” che mi ha dato la possibilità di lavorare con attori importanti come James Caan, che consideravo una leggenda e che mi vedeva come un figlio, con Kirsten Dunst e Luis Guzman, ed è stato il mio primo grande film e la prima volta che entravo su un set cinematografico vero, con gente che vedevo al cinema da piccolo. Ma di tutte le cose che ho fatto, ho sempre bei ricordi.

Deve essere stata una sensazione particolare tornare in Italia dopo aver fatto parte di tanti set internazionali. Come ti sei sentito?

Spaesato, ma contento. Lavorare su set grandi come quelli della serialità o del cinema americano fa sempre un certo effetto e percepisci immediatamente il senso di grandezza del progetto. Tuttavia, “Il Patriarca” ha rappresentato l’occasione di una vita che aspettavo da tempo.

Se fossi un giornalista che domanda faresti a Federico?

Nel momento in cui un attore inizia a lavorare pensa: “finalmente sarò felice e sto facendo quello che voglio fare”. A Federico chiederei: “Sei felice dal momento che è da anni che fai quello che avresti voluto fare?”. E risponderei che non è la felicità che pensavo di avere, perché non arriva dal mestiere ma viene dall’interno ed è fondamentale lavorare su se stessi. Ho fatto parte di molti grandi progetti che, nonostante il prestigio, a volte mi rendevano stressato e non ero felice proprio perché avrei dovuto lavorare di più su me stesso e cercare la serenità all’interno. Sono felicissimo di stare sul set ma non bisogna dare al lavoro il potere di cambiarti il mood e di influenzare la tua felicità.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Lo schermo trasmette dei messaggi, ti fa sentire qualcosa a livello emozionale, ti fa riflettere, pensare, ti genera sensazioni e lo schermo è voce.

Si ringraziano:

Valentina Calabrò (Vyp Talent Agency)

Zebaki Comunicazione

 

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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