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Mar. Mar 11th, 2025

Intervista a Francesco Centorame: “Da Elia di ‘Skam’ a “Fatti Vedere”, per mettere giù le maschere che indossiamo” L’attore ci parla del film appena uscito al cinema e si racconta su “La voce dello schermo” ripercorrendo le tappe più significative della propria carriera.

Feb 11, 2025

Giovedì 6 febbraio è uscito nelle sale “Fatti Vedere”, commedia diretta da Tiziano Russo, distribuita da Eagle Pictures e con protagonisti Matilde Gioli, Francesco Centorame, Pierpaolo Spollon e Asia Argento. Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, Francesco Centorame che ha parlato del film attualmente al cinema e del personaggio di Stefano che, assieme al carabiniere Montemurro de “Il Metodo Fenoglio”, gli ha permesso di lasciarsi alle spalle l’iconico ruolo dell’adolescente Elia di “Skam” e gli altri personaggi che esploravano una fase più giovanile della vita, come quello di Marco Carrera ne “Il Colibrì” di Francesca Archibugi e quello di Giulio Ristuccia ne “Gli anni più belli” di Gabriele Muccino. Una chiacchierata tra passato, presente e futuro di Francesco Centorame e tra cinema, serie tv e teatro. A voi…

Salve Francesco, benvenuto su “La voce dello schermo”. Partiamo da “Fatti Vedere”, nelle sale dal 6 febbraio. Cosa hai amato di questa esperienza e del personaggio di Stefano?

Salve a tutti, grazie. È stato importante per me ritrovare Tiziano Russo che, oltre a essere diventato per me un amico sincero, è un regista di grande talento, che si avvicina molto alle cose che racconta e non ha paura di scavare, di sviscerare e di andare sempre in profondità di un personaggio. Dell’interpretare Stefano ho amato tanto il coraggio di accettare la crisi, di mettere giù la maschera in una società in cui molti ne indossano una volutamente e di fare emergere la verità e la realtà. Stefano sceglie di affrontarla, nonostante non sappia bene come fare, e decide di intraprendere un percorso.

Perché il pubblico dovrebbe guardare “Fatti vedere”?

Perché si ride molto, possiede una trama molto interessante, basata su una storia vera, ed è molto affascinante comprendere come cambiamo noi, come si evolvono i rapporti e soprattutto cosa sei disposto a fare per scoprire la verità, al di là dell’aspetto sentimentale, e quanto riesci a essere onesto con te stesso.

Si può dire che ti ha permesso di toccare corde più adulte rispetto alle precedenti interpretazioni?

Nonostante ne “Il Metodo Fenoglio” sia riuscito ad allontanarmi dalla fase adolescenziale dei miei personaggi, quello di Stefano rappresenta un’ulteriore opportunità per uscire dalla fase più giovanile e per affrontare un’età più adulta.

Come cambia un attore interpretando personaggi in fasi differenti della vita?

Sicuramente nel bagaglio umano c’è un arricchimento. Più si va avanti nelle esperienze della vita reale, più strumenti si avranno per comprendere meglio un personaggio e le sue sfaccettature. Presto usciranno altri tre film in cui interpreto ruoli da trentenne e l’età che va avanti ti permette di fare esperienze, di arricchirti dal punto di vista umano, di comprendere tante cose che poi si metteranno al servizio del personaggio.

In “Un oggi alla volta” di Nicola Conversa, invece, ti abbiamo visto sperimentare, tra un look diverso e un modo di parlare differente. Come hai vissuto questo viaggio tra emozioni e cambiamento?

Quella che mi ha dato Nicola Conversa è stata una proposta molto interessante, perché avevo la possibilità, nei tempi e nei modi, di fare una piccola trasformazione: ho messo su 8 chili, mi piace la goffaggine e mi diverte. Inoltre, la commedia è un genere che mi affascina e il personaggio aveva delle fragilità che mostravano il disagio di una società apparentemente perfetta in cui a un certo punto lui dice: “non mi sento più bene così, ad andare sempre di fretta, a essere sempre perfetto”, e veniva fuori un lato fragile molto umano e sensibile. L’opportunità di parlare e muoversi in un altro modo fa sì che poi si mettono in pratica tutti gli aspetti che si studiano nelle scuole di teatro, che permettono di fare il tuo lavoro al meglio e di metterti alla prova.

Hai interpretato un musicista che non sa rispondere alle domande: “Cosa fai nella vita?” e “Chi vuoi essere?”. Chi vuole essere Francesco Centorame?

Francesco, un po’ come tutti, cambia. Ho iniziato ad approcciarmi al teatro attraverso la teatroterapia partendo da una forte passione per la psicologia. Adesso mi ritrovo a fare questo mestiere che amo da morire e che rispetto tanto. Siamo tante cose e vivo nell’incertezza di ciò che sono e chi diventerò. Ho ben chiaro quello che voglio essere e il mio lavoro mi dà l’opportunità di fare delle scelte, a volte controcorrente e prendendo rischi. Voglio essere una persona onesta, che si lascia la possibilità di essere fallibile e che sta imparando la vita.

Che immagine di te stesso vorresti trasmettere a chi ti segue e a chi ti conosce?

Non amo tanto parlare della mia vita privata perché nutro un grande rispetto per il mio mestiere e credo che questo aspetto si stia un po’ perdendo soprattutto per la malattia della popolarità e del successo, che spinge le persone a diventare quasi un prodotto. Nel momento in cui decidi di fare questo lavoro devi avere anche il coraggio di fare dei passi indietro e di poter dare la possibilità al pubblico, con un grande atto di rispetto, di fargli vedere un attore e le storie che racconta. Voglio che il pubblico apprezzi principalmente il mio lavoro e non bisogna prenderlo in giro o adularlo.

Che attore vuole essere Francesco?

Un attore che cerca sempre di essere più sincero possibile con la storia che deve raccontare e un lavoratore che fa il proprio lavoro meglio che può.

Sia ne “Gli anni più belli” che ne “Il Colibrì” hai dovuto vestire i panni del personaggio adolescente di quello interpretato da Favino. Che esperienze sono state per te?

Sono state due esperienze incredibili, che mi hanno segnato tantissimo perché uscivo dall’accademia di teatro, non avevo mai fatto cinema. Avevo fatto una stagione di “Skam”, che è molto diverso e che comporta un approfondimento e tempi differenti. Con Gabriele Muccino c’è stato un grande fuoco, una grande passione condivisa per quello che si stava facendo ed è stato ancora di più sottolineato da Pierfrancesco quando abbiamo lavorato insieme. Quando, per diverso tempo, stai a fianco a un attore così pronto, che approfondisce e studia tanto, per me è stata una grandissima scuola ed è come se avessi fatto due master di recitazione più che due film. Essere attore è un lavoro molto serio, che ti dà grandi responsabilità e, quando ti viene assegnato un ruolo, devi metterti in discussione ogni volta e dimostrare le tue capacità. La parte più interessante è stata concentrarsi sui gesti, sui movimenti e su schemi motori che il personaggio aveva e che doveva riprodurre sia prima che dopo.

Non possiamo non chiederti di “Skam”. Cosa ha rappresentato per te Elia?

È stato un po’ un traghettatore per me. Abbiamo iniziato a girare quando avevamo più o meno vent’anni e abbiamo concluso all’età di venticinque. Mi ha dato modo di apprezzare la fragilità e la sensibilità dell’animo umano, soprattutto di un adolescente che a volte tende a mascherare anche per la sfiducia che di solito si nutre nei confronti degli altri. Tuttavia, ritengo che spesso le altre persone possano capire bene ciò che proviamo, almeno che non facciano il gioco delle maschere. Nel momento in cui qualcuno dà il via allo scacco e mette giù la maschera, dà la possibilità agli altri di toglierla e di affrontare tematiche dolorose, difficili e che fanno paura.

Cosa hai imparato da lui?

Mi ha insegnato il dono dell’amicizia e della condivisione reale, privandosi di una parte di sé per darla agli altri. Oggi purtroppo accade un po’ il contrario, come vediamo sui social, e si tende a condividere per avere di più e non per dare agli altri. Da attore, credo sia importante fare un passo indietro, concentrarsi di più sulla recitazione e non voler vendere l’immagine di se stessi per poi lavorare, perché si corre questo rischio. Con Elia ho capito inoltre quanto sia preziosa una condivisione sana, e quanto sia fondamentale coltivare amicizie vere e darsi la possibilità di mostrarsi fragili, perché dall’altra parte c’è una persona che può riconoscersi.

“Skam” è pieno di momenti significativi. Ce n’è stato uno accaduto all’interno di questo set che non hai mai raccontato a nessuno?

Ce ne sono tanti che non ho raccontato a nessuno e continuerò a tenerli per me perché sono molto intimi. Più passa il tempo e più ti rendi conto dell’importanza di quei momenti. Sicuramente una delle cose che non ho mai detto in maniera chiara e che a distanza di anni mi si focalizza sempre di più è la grande gratitudine che provo nei confronti di Ludovico Bessegato, con cui ho fatto il secondo provino della mia vita, era tutto nuovo per me, lui mi ha dato fiducia e adesso quando ci rivediamo è sempre molto bello. Con Ludovico ho imparato a prendere sul serio questo lavoro perché spesso la differenza la fanno il temperamento, il carattere, la capacità di isolamento che ha un attore, in apertura e non in chiusura perché accoglie tutto ciò che arriva e lo trasforma per dare materiale in più alla storia che racconta.

Dove ti vedremo prossimamente?

Sarò nella serie “Fuochi d’artificio” di Susanna Nicchiarelli, poi in una serie di Daniele Barbiero, in “Albatros” di Giulio Base e in altri progetti che vi dirò in futuro. Inoltre, tornerò a teatro, che è il mio grande amore, con “Ho paura torero” insieme a Lino Guanciale. Sono tante cose che mi stanno insegnando tanto.

Il teatro, invece, quali aspetti ti permette di esplorare?

Da quella che è la mia esperienza, ho iniziato a capire che il cinema è un mondo prevalentemente dei registi e in cui sei a servizio di altri strumenti perché anche se non comprendi a fondo il senso di ciò che stai facendo, attraverso un montaggio e delle inquadrature, puoi uscirne bene. A teatro dipende tutto da te, dalla concentrazione che trovi, dai movimenti che fai e dai tempi che riesci a prendere. È carne viva, non ci sono filtri e ti dà la possibilità di essere davvero un tutt’uno con quello che vivi. Non hai possibilità di sbagliare, di distrazioni, è un lavoro collettivo e un grande insegnamento. Il bello del mio mestiere è che ti offre l’opportunità di metterti nei panni di un’altra persona, di comprenderla e in questo il teatro mi ha dato tanto ed è uno degli ultimi baluardi degli spazi in cui si è lì e non esiste nient’altro, se non un corpo che parla ad altri corpi.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Ascoltare la voce dello schermo mi offre la possibilità di vedere altri punti di vista, di allenarmi a mettermi dall’altra parte, a comprendere l’altro, alla condivisione degli altri pensieri, a mettere in discussione il proprio punto di vista e le proprie idee e mi regala un’opportunità di crescita.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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