“M. – Il Figlio del secolo” ha sicuramente colpito il pubblico di Sky, sia per le grandi interpretazioni che i protagonisti della serie hanno saputo regalarci sia per la cura dei dettagli che il regista, Joe Wright, e la sua crew hanno saputo donare alla serie. Su “La voce dello schermo” abbiamo intervistato Gianmarco Vettori per parlare di “M. – Il figlio del secolo”. L’attore, che nella serie interpreta Dino Grandi, ha raccontato cosa abbia significato per lui far parte di questa esperienza e dover vestire i panni di un personaggio molto comunicativo nonostante si esprimesse maggiormente a gesti che a parole. Gianmarco ha, inoltre, sottolineato l’impressionante lavoro che c’è dietro la serie con Luca Marinelli e ha ricordato le esperienze più significative della propria carriera, da “Shoshana” diretto da Michael Winterbottom a “Briganti” e a “Padrenostro”. A voi…
Salve Gianmarco. Benvenuto su “La voce dello schermo”. Ti stiamo vedendo in “M. – Il figlio del secolo” nei panni di Dino Grandi. Quali sono gli aspetti che ti hanno colpito della serie?
Salve a tutti, grazie. Sicuramente la fase di creazione è stata molto affascinante. Lavorare con Joe (Wright ndr.) e con una crew internazionale fa la differenza. Vedere come agiscono sul set, come muovono le redini di questa operazione è stato impressionante. Uno degli aspetti che mi ha affascinato di più è stato vedere il direttore della fotografia, Seamus McGarvey, che ogni mattina faceva una piccola ovattatura sullo schermo della camera per far sì che si vedesse l’ovattatura degli anni ’20. Per me questa è arte e un lavoro di artigianato su di essa.
Cosa è stato importante per arrivare al risultato finale?
Lavorare sul mio personaggio e sulla formazione dei “cani da combattimento” è stato un lavoro importante ed è stato fondamentale ricreare quell’energia di gruppo. Abbiamo fatto uno studio dettagliato, con degli acting coach, sulla fisicità e sulla commedia dell’arte, attraverso dei documentari riguardanti quei tempi.
Cosa ha significato per te interpretare Dino Grandi e quali corde ti ha permesso ti toccare?
Sin dall’inizio, Joe mi aveva già presentato il personaggio dicendomi che avrei dovuto fare un lavoro più dall’interno che dall’esterno e che avrei dovuto affrontare un processo di sottrazione perché era un grande ascoltatore, che parlava poco ma che aveva gli occhi che parlavano e che comunicavano. Creare un personaggio su questa direzione è stato molto impegnativo, interessante, complesso e bellissimo perché all’interno di quella immobilità si doveva raccontare una verità.
Quando si trattano argomenti che raccontano di personaggi non positivi spesso, questi prodotti, vengono accompagnati da polemiche. Anche “M. – il figlio del secolo” ha ricevuto alcuni attacchi. Come hai reagito alle polemiche?
Sicuramente dobbiamo considerare che si tratta di una storia che ci ha praticamente cresciuti, purtroppo, quasi fino ai nostri giorni. Possiamo, per certi versi, vedere la figura di Mussolini un po’ ‘jokeriana’ e come un uomo foraggiato da una società, ma in realtà non era così. Lui ha capito che con gli ultimi si faceva la guerra e in quel periodo c’erano tantissime persone che non avevano più nulla, che doveva investire su di loro e spingerli verso qualcos’altro perché, quando non si ha nulla, è facile credere a chi dice: “si può fare”.
Perché, secondo te, non si riesce a staccare la finzione dalla realtà quando parliamo di cinema e serie tv?
Perché, in questo caso, essendo un fatto storico che è accaduto realmente, porta inevitabilmente degli strascichi fino al nostro periodo. Tuttavia, bisogna ricordare sempre che non necessariamente dobbiamo insegnare qualcosa ma dobbiamo rendere più consapevoli le persone di ciò che è stata la storia in Italia. Le polemiche possono pure starci, ma l’importante che ci sia un aspetto più analitico della storia e un prendere coscienza di quello che è accaduto in quegli anni.
Come si riesce a ricreare un’energia del genere?
Come dice spesso Luca (Marinelli ndr.), Joe ha spinto tanto nel ricreare quella mascolinità tossica e vedere questi documentari ci ha fatto comprendere meglio come Mussolini agiva dal punto di vista dell’energia. Abbiamo lavorato molto su una sorta di sottotesto energetico che viaggiava sotto le parole. È stata una sfida bellissima non soltanto nel mio personaggio, ma anche nel costruire un tipo di dialogo su tutti i ruoli che abitavano questa serie. In molti momenti il regista ci diceva: “dovete stare uniti, dovete fare le marachelle insieme” per ricreare l’atmosfera che abitava quegli anni.
Hai dovuto affiancare Luca Marinelli, com’è andata?
È stata una scoperta perché da attore credo ci sia sempre da imparare e da sperimentare. Lavorare a fianco di un attore come lui ti trasmette grande carica emotiva perché è fonte di grande ispirazione. Vederlo interagire con i personaggi e con le persone, creando un legame, e assistere a una grandezza attoriale così disponibile nei confronti dei colleghi, per creare qualcosa di bello insieme, è stato indimenticabile. Girare “M. – Il figlio del secolo” mi ha permesso di incontrare persone molto belle con cui condividere questa creazione.
Il tuo percorso è ben delineato e orientato, cosa cerchi nei personaggi che devi interpretare?
Ho sempre cercato di cucirmi addosso personaggi un po’ al limite. Ricerco una verità che comporta di creare il personaggio in carne e ossa, con i suoi sentimenti, le sue sofferenze, i suoi momenti di vuoto nella sua vita che poi devono essere riempiti con la sceneggiatura, andando a creare emozioni, punti di forza e qualcosa di organico.
Quali sono stati gli incontri e le tappe più significative della tua carriera?
Dopo aver incontrato artisti e registi molto bravi e importanti, posso dire che ogni tappa è stata importante per la mia carriera. Sicuramente “Briganti” è stata una bella opportunità. “Padrenostro”, mi ha permesso di lavorare con un regista come Claudio Noce e Pierfrancesco Favino ed è stato interessante vedere come il regista si approcciava a tutti noi attori, dandoci lo stesso spazio di creazione. Infine, un altro progetto fondamentale è stato “Shoshana”, che mi ha dato la possibilità di lavorare con Michael Winterbottom e vedere come girava, con una sorta di narrazione documentaristica, è stato davvero affascinante. Un giorno mi trovavo sul set a fare qualche posa e Michael mi ha detto: “tu entri alle 8 di mattina, ma girerai alle 3 di pomeriggio”. A quel punto, Pensavo fosse necessario fare qualche ritocco prima di girare, passando da trucco e parrucco. Lui mi disse di no perché il personaggio doveva vivere dal primo momento che andava sul set per dare più verità al personaggio. Incontrare questi registi mi fa pensare che l’arte sia ciò che vai a fare con verità.
Se fossi un giornalista che domanda faresti a Gianmarco?
Chiederei dove vuole arrivare. E risponderei che vorrei arrivare a un senso di verità alto, a un’organicità e a confrontarmi con dei personaggi da interpretare completi nella loro interezza, raccontandoli con una maggiore linearità e andare a scavare più in profondità rispetto a quelli finora interpretati. Mi piacerebbe dare una tridimensionalità importante e un’anima a un personaggio.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa ascoltare se stessi, mettersi alla prova e a disposizione per vedere fino a dove ci si può spingere, gettare il cuore oltre l’ostacolo e creare qualcosa che magari nemmeno si era pensato di poter fare.
Di Francesco Sciortino