Uno dei protagonisti indiscussi della quinta stagione di “Mare Fuori” è sicuramente il personaggio di Raffaele ‘Micciarella’, interpretato da Giuseppe Pirozzi. Enfant prodige della recitazione ma con le idee molto chiare, Giuseppe ha stupito gli addetti ai lavori e il pubblico per la maturità artistica dimostrata, nonostante la giovane età. L’attore, oltre all’interpretazione in “Mare Fuori”, ci ha regalato infatti varie performance degne di nota al cinema: da “Il Bambino Nascosto” di Robertò Andò, con Silvio Orlando e Lino Musella, a film come “Piano Piano” di Nicola Prosatore, “Criature” di Cécile Allegra e tante altre pellicole interessanti.
Con grande piacere abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, proprio Giuseppe Pirozzi che ci ha parlato dell’evoluzione che il suo Micciarella ha vissuto negli anni e degli aspetti che ama di più della serie diretta da quest’anno da Ludovico Di Martino e prodotta da Picomedia di Roberto Sessa e RaiFiction. Oltre a parlare di “Mare Fuori”, l’attore ha raccontato cosa abbia rappresentato per lui crescere a pane e set e come sia stato per lui confrontarsi con maestri della recitazione come Silvio Orlando, Antonia Truppo, Lino Musella e i tantissimi colleghi che ha incontrato durante la sua giovane ma interessante e ricca carriera. A voi…

Salve Giuseppe, benvenuto su “la voce dello schermo”. Nella quinta stagione abbiamo visto un Raffaele “Micciarella” più maturo e tormentato rispetto alle precedenti stagioni. Cosa hai amato dei nuovi episodi?
Salve a tutti, grazie. Ho amato tantissimo la direzione un po’ più dark e cruda che ha preso la serie. Riguardo Raffaele, invece, mi è piaciuto raccontare il suo coraggio perché è molto difficile per un ragazzo di sedici anni ammettere di avere commesso un omicidio ed essere consapevole di dover passare i suoi prossimi vent’anni in prigione. Mi hanno colpito tantissimo anche la sua generosità e il suo senso di colpa, che gli hanno dato la forza di confessare e permettere a Silvia di tornare libera. È stato un bel gesto da parte sua.
Lo troviamo un po’ più riflessivo…
Sì, quest’anno c’è stato più Raffaele che Micciarella. La parte impulsiva è sempre presente in lui, come vediamo nel finale, quando confessa, ed è un momento istintivo perché non aveva mai pensato di farlo prima di allora. Tuttavia, nei nuovi episodi abbiamo visto di più Raffaele Di Meno e negli anni precedenti non lo avevamo mai conosciuto.
In te c’è più Raffaele o Micciarella?
Dipende dai momenti. Prima ero più impulsivo, quindi più Micciarella. Adesso è subentrato anche il Raffaele che è in me e mi ritengo sia razionale che impulsivo.
Cosa ami di “Mare Fuori” dopo diverse stagioni?
“Mare Fuori” rappresenta qualcosa di magico per me ed è una serie che racconta degli aspetti che personalmente mi colpiscono tantissimo. Essendo anche io un ragazzo, riesce a toccare corde che mi emozionano. La serie ha una magia tutta sua, è difficile da spiegare e da capire.

Di recente ti abbiamo visto anche in “Criature”. Che esperienza è stata per te?
È stata un’esperienza molto formativa per me. Sono stato proiettato all’interno di una dimensione in cui non ero mai stato, dal momento che abbiamo fatto giochi circensi e ho interpretato Salvatore, che non parla tanto ma prova tanto. È pieno di sentimenti che non riesce a esternare ma li possiede nei pensieri, negli sguardi, nei piccoli dettagli ed è stato molto affascinante raccontarli. La regista, Cécile Allegra, mi diede vari input per interpretare Salvatore e mi disse di studiare Charlie Chaplin. Preparare un personaggio mettendolo a confronto con Chaplin mi colpì molto e lo trovai molto stimolante.
Quanto è importante andare ‘di pancia’ per te nella recitazione?
È molto importante, affiancandola ovviamente allo studio del personaggio e a una preparazione dettagliata a riguardo, che mi porta a conoscerlo e ad assorbirlo nei mesi delle riprese.
Uno degli aspetti che colpisce maggiormente di te è che, nonostante non sia ancora maggiorenne, hai un curriculum di un veterano, avendo fatto diverse esperienze di prestigio. Cosa ha significato per te crescere sul set?
Crescere sul set è stata per me la scuola più grande e non poteva essercene una migliore nella mia vita. Ho cominciato da molto piccolo e avere la possibilità di osservare registi e colleghi diversi per me è stata una fortuna incredibile. A dodici anni, mi sono trovato a lavorare al fianco di un grande artista come Silvio Orlando, per il quale nutro una stima talmente grande che non riesco a esprimere a parole. Ogni persona con cui ho lavorato mi ha insegnato tantissimo e ho cercato sempre di vedere come si comportava sul set in modo da apprendere il più possibile da ogni esperienza. Per me è stata una fortuna immensa.
Riguardo “Il Bambino Nascosto” di Roberto Andò, cosa ricordi?
Ricordo tutto e soprattutto l’emozione. Ogni volta che arrivavo sul set ero la persona più felice del mondo, sia perché amavo recitare sia perché sapevo della grandezza del progetto e dell’importanza delle persone che c’erano su quel set. Mi chiedevo: “Cosa c’entro con Silvio Orlando e a Lino Musella?”, però è stata una grandissima esperienza e soddisfazione perché appena terminato il lavoro ho detto: “Wow! Ci sono riuscito”. Essendo la prima esperienza e un bambino, avevo un po’ di timore perché vedevo ostacoli insormontabili e mi sentivo una piccola particella in mezzo a dei giganti ma, superate le paure iniziali, sono stato soddisfatto e mi ha fatto rendere conto di potercela fare e che niente è impossibile.
Un altro film in cui ti abbiamo visto è “Piano Piano”. Cosa ha significato per te?
Arrivai sul set di “Piano Piano” avendo già avuto esperienze importanti, ma anche questo è stato un progetto che ricorderò per sempre. Ho avuto un legame fortissimo dal primo momento con il regista, Nicola Prosatore, perché possiede un approccio con gli attori che pochi hanno: è molto professionale, rispetta gli attori, si riusciva a collaborare e ci teneva a dialogare. Sul set c’era anche Antonia Truppo, che considero un’attrice fantastica, tra le migliori in Italia e puoi solo imparare osservandola. Poi ho trovato altri colleghi di “Mare Fuori”, come Massimiliano Caiazzo e Antonio De Matteo, e c’era Giovanni Esposito e un cast di persone con le quali è stato molto stimolante collaborare. È stata un’esperienza bellissima, che porterò per sempre nel cuore, anche perché il personaggio si chiama come me.
Hai la recitazione nel sangue, essendo figlio d’arte, come ti hanno spiegato da piccolo cosa fosse quest’arte?
Mio padre è un attore ma riguardo al lavoro non parliamo tanto: ci basta guardarci negli occhi per capirci. Da piccolo ero semplicemente un bambino appassionato e non ho mai chiesto tanto a mio padre a riguardo. L’unica cosa che volevo da lui era che mi portasse ai suoi spettacoli teatrali perché mi piacevano ma non ho mai detto: “Papà, spiegami cos’è la recitazione, voglio recitare”. In realtà, non penso sia qualcosa che si possa spiegare. Sarebbe come chiedere a un calciatore di spiegare come si giochi a calcio. È qualcosa di naturale, che devi sentire, assaporare e digerire. È stato un continuo divenire che si è realizzato con il tempo.

Se fossi un giornalista che domanda faresti a Giuseppe?
Ne avrei tante, mi piacerebbe tanto avere un confronto con me stesso e tra le domande ci sarebbe sicuramente: “Cosa vorresti fare dopo?” e risponderei che voglio continuare questo viaggio e questo sogno che sto vivendo nella mia vita e che non do mai per scontato. Riuscire a realizzarlo e continuare un percorso del genere rappresenta qualcosa di indescrivibile. Infine, gli direi: “Continua, Giusè! Vai avanti, non fermarti!”.
Tra i tuoi sogni c’è un regista con cui ti piacerebbe lavorare o una tipologia di ruolo che vorresti interpretare?
Sicuramente Martin Scorsese, sono un amante del suo cinema e credo che i suoi siano tra i film più belli che abbia mai visto. Tuttavia, mi sarebbe piaciuto recitare in un film di Sergio Leone perché il mio film preferito è “C’era una volta in America”. Riguardo invece la tipologia di ruolo, dipende dal periodo che sto vivendo, perché ci sono momenti che mi piacerebbe interpretare un determinato ruolo e altri in cui vorrei mettermi alla prova in personaggi totalmente diversi. Credo sia più importante l’anima del personaggio più che la tipologia di ruolo.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Ascoltare la voce dello schermo è un viaggio immenso che ti porta in un metaverso dove non c’è tempo, spazio, persone e c’è soltanto quella magia che puoi vedere soltanto in quel determinato momento.
Di Francesco Sciortino