Grande successo per la settima edizione del “Vertical Movie Festival”, il primo festival dell’audiovisivo nel formato video verticale 9/16 che si è svolto nei giorni 4, 5, 6 dicembre. Tra gli ospiti che hanno partecipato ai talk di questa edizione, a cura del format evento About You, ci sono stati Stefano Fresi, Ivan Silvestrini, Silvia Scola, Miriam Galanti e Massimiliano Manfredi.
In seguito alla sua partecipazione all’evento, abbiamo intervistato Ivan Silvestrini che si è raccontato su “La voce dello schermo”. Il regista, che ha guidato “Mare Fuori” dalla seconda alla quarta stagione, ha parlato della sua partecipazione al festival e del talk del format ‘About You’ all’interno del quale ha potuto dialogare con il pubblico riguardo alcune curiosità sulla serie. Dopo aver parlato di questa esperienza, il regista si è confidato su “La voce dello schermo” riguardo “Mare Fuori”, il suo addio, i momenti più intensi vissuti durante queste stagioni e ci ha svelato quello che secondo lui è il motivo del successo della serie. Questo e altro nella nostra intervista a Ivan Silvestrini. A voi…
Salve Ivan, benvenuto su “La voce dello schermo”. Sei stato tra i protagonisti del talk del format ‘About You’ durante il ‘Vertical Movie Festival’ di quest’anno. Puoi farci un bilancio di come sia andata questa esperienza?
Salve a tutti, grazie. Adoro i festival dove il pubblico è così partecipe. Ho incontrato quasi tutti studenti di cinema o di audiovisivo ed è stato un piacere dialogare con loro e vederli così attenti. Non è sempre così e fa molto piacere.
Perché ritieni che festival del genere siano importanti?
Credo che qualsiasi festival, soprattutto indirizzato ai giovanissimi, sia una ricchezza per la società di domani. Qualsiasi cosa possa raccontare l’avvincente mondo dell’audiovisivo e portare una nuova generazione a fare questo percorso non può che far bene a questo settore meraviglioso e alle persone.
Il “Vertical Movie Festival” è incentrato sul formato verticale. Quali opportunità offre rispetto a quello orizzontale?
Quello verticale è un formato che si sta diffondendo sempre di più ultimamente grazie ai social network. Anni fa ho lavorato per delle web serie destinate a YouTube ma veniva utilizzato ancora il formato orizzontale. Se oggi fossi un giovane regista e volessi creare un racconto pensato per la diffusione virale sicuramente farei un ragionamento sulle frontiere della narrazione verticale, perché generalmente questi prodotti vengono visualizzati attraverso i telefoni ed è giusto che si sviluppino delle storie adatte a questo formato. È ovvio che questo tipo di formato tenderà a isolare lo spettatore e genererà un tipo di visione più individualista, che si concentra su più individui ma isolandoli, per certi versi, un po’ come accade sul social. Mi auguro che sia comunque un’occasione per raccontare storie nuove e anche personali.
Grazie al format di evento ‘About You’ hai avuto la possibilità di interagire con il pubblico del “Vertical Movie Festival”. Un prodotto come “Mare Fuori” ti ha portato costantemente a avvicinarti alla gente, visto che ha abbracciato milioni di persone. Quanto è importante per te il legame con il pubblico?
È fondamentale perché se chi racconta storie non ha qualcuno a cui raccontarle non ha niente in mano e per certi versi non esiste. Non mi era mai capitato di incontrare un pubblico così vasto come accaduto con “Mare Fuori” ed è stato entusiasmante confrontarmi con le opinioni della gente che mi arrivavano attraverso i social. Ho sempre letto tutti i commenti e ho cercato, durante questi anni, di stabilire un rapporto di comunicazione con il pubblico per rispondere alle loro curiosità e incuriosirli per far comprendere cosa ci sia dietro una lavorazione così complessa come quella di una serie di dodici puntati a stagione.
Hai raccolto il testimone di “Mare Fuori” prima del boom di Netflix. Ti eri già accorto delle potenzialità della serie? Quali erano gli aspetti che più ti convincevano?
Sì, me n’ero accorto perché leggendo le sceneggiature capivo verso quale direzione stesse andando la storia e che avrebbe preso una piega molto appassionante. Specialmente durante la terza stagione, si avvertiva un cambio di passo netto, è stata la prima di cui mi sono occupato da solo e sentivo una grande responsabilità. C’era molto potenziale melò, si riscontravano molte scene emozionanti già su carta ed è stata una sfida cercare di renderle al meglio. Spesso piango quando le rivedo e penso di essere riuscito nel mio intento, ovviamente insieme alla gente con cui ho lavorato perché è un lavoro di squadra. Mi rendevo conto che sarebbe stato un successo quando, mentre giravamo, vedevamo orde di gente non comuni che seguivano i loro beniamini ovunque ed è un tipo di calore raro da trovare in questa società così fredda nei confronti di questo settore, perché non si avverte più come prima il mito degli attori e di chi fa cinema. Ritrovarlo è stato emozionante.
Man mano che la serie è andata avanti ha preso una direzione sempre più teen. Come mai si è scelto di seguire questa strada?
Per quanto vissuto da me, anche se credo sia in parte vero, ritengo che “Mare Fuori” sia diventato un fenomeno transgenerazionale e non venga visto soltanto dai giovani. I personaggi sono ragazzi e sicuramente l’immedesimazione è più immediata e più forte in loro. In realtà, ho cercato di mantenere un certo equilibrio tra le storie degli adulti e quelle dei ragazzi, ma essendo quest’ultimi in numero maggiore hanno più peso all’interno di una puntata.
Qual è il motivo che spinge un regista a lasciare una serie come “Mare Fuori”?
Credo di aver dato tutto me stesso durante questi tre anni e, a un certo punto, mentre giravo la quarta stagione ho avuto la percezione che la mia fantasia applicata a questa materia andava esaurendosi e ho pensato fosse meglio spingere fino alla fine della quarta e lasciare il testimone a qualcuno che la cercherà di rinnovare piuttosto che accettare un lavoro sapendo di non poter dare più tante idee. Secondo me la serie dopo quattro anni ha bisogno di cambiare. Ho cercato di dare un’impronta diversa a ogni stagione di cui mi sono occupato ma, essendo il corrispettivo di circa sedici film, non è poco raccontare così tanto minutaggio. Voglio bene a “Mare Fuori” e ho pensato fosse meglio così per il bene della serie. È stata una rinuncia non facile e non scontata ma credo sia stata la cosa giusta da fare.
C’è una scena di cui vai più fiero?
Ce ne sono tante e una scena che non cito spesso ma di cui vado molto fiero è il confronto finale che avviene durante la quarta stagione tra Rosa Ricci e Donna Wanda. È una scena in realtà semplice, perché vediamo due persone che si incontrano in una stanza e parlano per un po’, ma possiede un livello di tensione e di confronto paragonabile a un western e nel momento del montaggio mi ha esaltato.
Cosa ricorderai dell’ultimo tuo ciak della serie?
L’ultima mia inquadratura della serie ha coinciso con il saluto a Massimiliano Caiazzo e abbiamo avuto il lusso di finire la stagione con la sua ultima scena e con un bagno liberatorio fatto subito dopo. Abbiamo salutato la serie stando al mare, a fine estate, ed è stato un momento molto forte.
Oltre a “Mare Fuori”, quali pensi siano le tappe più significative della tua carriera?
Sono legato a tutti i progetti che ho diretto e ho sempre cercato di mettere tutto me stesso nelle esperienze che ho fatto. Ci sono stati dei film più avventurosi come “Monolith”, che è stato girato nello Utah e che ha un posto speciale tra le avventure della mia vita. Tra le serie, invece, oltre a “Mare Fuori” c’è sicuramente “Lontano da te” che è stata girata tra Siviglia, Roma e Praga in due lingue ed è stata un’avventura incredibile che ricordo con grande nostalgia.
Cosa ti aspetta dal post “Mare Fuori”?
Non posso parlarne per accordi di riservatezza, ma ci sono due progetti in cantiere e che dovrebbero partire il prossimo anno.
Ogni regista ha il proprio marchio di fabbrica, la sua “Z” di Zorro e i propri tratti distintivi. Quali pensi siano i tuoi?
Al di là del genere che mi trovo ad affrontare, mi interessa trasmettere emozioni e fare un racconto il più caldo possibile. Amo commuovere lo spettatore e commuovermi. In tutti i lavori che ho diretto, ho sempre cercato di spingere sull’emozione ed è ciò che crea la dipendenza per una serie. Penso che “Mare Fuori” abbia avuto il successo che ha avuto perché la gente a un certo punto diventava schiava delle emozioni contenute nella serie e veniva rivista perché gli spettatori ricercavano ancora una volta quell’emozione. “Mare Fuori” ha regalato una possibilità straordinaria.
Se fossi un giornalista che domanda faresti a Ivan?
Gli chiederei: “Quando pensi di realizzare i film che hai scritto durante questi ultimi anni?” e risponderei: “È ciò su cui sto lavorando, ma non è facile perché scrivo storie strane ma è quello che mi auguro di realizzare presto”.
Perché storie strane?
Perché mi rendo conto di avere una fantasia abbastanza contorta che non ho ancora mai avuto modo di sfruttare a pieno nelle storie che mi hanno proposto e che ho cercato di riversare nelle pagine dei copioni che ho scritto e che non sono riuscito ancora a concretizzarli ma spero di farlo presto.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Credo che il potere dell’audiovisivo e di questa commistione simultanea di immagini, parole e musica sia ciò che più mi ha affascinato di quest’arte e la voce dello schermo riflette questo ed è ciò che cerco quando vado al cinema o guardo una serie.
Di Francesco Sciortino