Marco Mario De Notaris è un attore poliedrico, durante la propria carriera ha interpretato numerosi personaggi in serie amatissime dal pubblico, come “Un posto al sole”, “Il Patriarca”, “Uonderbois”, “R.I.S. Roma” e da regista ha diretto il film “La tristezza ha il sonno leggero” con protagonisti Serena Rossi, Stefania Sandrelli e Marzio Honorato. Abbiamo intervistato proprio Marco Mario, che ci ha raccontato delle recenti esperienze che l’hanno riguardato, dell’amore per il teatro e di quei grandi artisti che hanno contribuito a fargli amare il proprio lavoro e di altri aspetti fondamentali della propria carriera. A voi…

Salve Marco Mario, benvenuto su “La voce dello schermo”. Di recente ti abbiamo visto in “Uonderbois”, un set che ti ha permesso di esplorare la magia di Napoli sotto diversi aspetti. Perché è stato importante per te?
Salve a tutti, grazie. È stato importante cimentarmi nel fantasy, che è un genere che ho sempre amato, ed è stato molto bello anche declinarlo in salsa napoletana. Dal punto di vista umano, ho lavorato con un bel gruppo, conoscendo ragazzi simpaticissimi e bravissimi, ritrovando amici e sono stati tutti superlativi.
Da attore che cosa ti ha permesso di esplorare Ciro?
Mi ha consentito di essere un papà anche su un set e non avevo mai sperimentato questa dimensione interpretativa del padre e di esplorare una dolcezza che fa parte del mio carattere, ma che spesso è rimasta sotto traccia perché ho dovuto interpretare spesso cattivi.
Per un attore è importante sperimentare, in quale personaggio ti sei messo maggiormente alla prova?
Ogni personaggio è un’opportunità nuova e spero ne vengano presto altre e sempre più intense. Ogni ruolo che si interpreta è un pezzo del puzzle che fa parte del nostro lavoro e che permette di mettere insieme tante parti delle emozioni e del carattere che consentono di costruire un personaggio.
Che tipo di personaggio ti potrebbe impensierire?
Credo che ogni ruolo nasconda delle insidie, tante sfaccettature belle e tante difficoltà.
Quale invece ti affascinerebbe?
Mi affascinerebbe un personaggio rotondo e completo del melodramma, che scavi nelle emozioni più profonde. Amo anche la commedia, avendone diretta una, e penso di essere interessato a esplorare i vari ruoli che mi si presentano davanti perché mi piace saltare da un personaggio all’altro e spero di farlo sempre e sempre meglio.
Di recente ti abbiamo visto anche ne “Il Patriarca”. Cosa porti nel cuore di questo set?
Sicuramente Claudio Amendola, che non conoscevo ed è una persona straordinaria, di una sensibilità, gentilezza e educazione fuori dal comune. È un grande uomo di cinema, un attore fantastico e un bravissimo regista. Porto nel cuore tutta l’esperienza.
Ti sei cimentato nelle varie forme della recitazione: teatro, tv, cinema. Quali pensi siano stati gli incontri più significativi della tua carriera?
Questo mestiere è fatto di incontri. Dai tempi del liceo, in cui ho incontrato una professoressa che mi ha fatto scoprire la tragedia greca e che mi ha inserito nella compagnia del teatro. In seguito, ho conosciuto Goliarda Sapienza che ha creduto nel mio talento e mi ha scelto per il corso di recitazione del centro sperimentale, lì ho incontrato tante persone. Inoltre, è stato importante anche conoscere Serena Rossi e i Manetti Bros. Ci sono tantissimi incontri che ti aiutano a crescere come persona e come attore.
Riusciresti a individuare le fasi più significative, invece?
Oltre a quelle citate in precedenza, ho cominciato con un laboratorio in un liceo a Napoli, poi ho fatto il centro sperimentale, in seguito prodotti come “Cuori Rubati” a Torino e “R.I.S. Roma”, che è stato un impegno molto lungo, che mi ha permesso di costruire un personaggio che partiva in sordina ed è poi diventato un protagonista, anche se negativo, di due stagioni. Tuttavia, la corsa non finisce mai e sono sempre pronto ad aggiungerne tante altre.
Un attore ha bisogno del teatro perché?
Un attore ha bisogno del teatro perché è l’esercizio di concentrazione e di recitazione più sottile che ci sia. Stando in scena tutto il tempo con gli altri, è un modo entusiasmante di essere sul palco e non c’è un’altra strada se non quella di andare avanti. Ti trovi davanti un pubblico, hai sempre la sensazione di avere uno scambio d’energia molto bello e percepisci lo stato d’animo del pubblico.
E delle serie tv e del cinema, invece?
Le serie tv ti permettono di entrare nel cuore del pubblico, ti permettono di costruire dei personaggi che cambiano nel tempo in base alle esigenze di scrittura e si evolvono seguendo strade anche inaspettate. Bisogna cogliere tutti gli aspetti di ogni personaggio. Al momento sto interpretando un personaggio cattivo in “Un Posto Al sole” e mi mette di fronte la sorpresa di trovarmi di fronte delle sfide e delle trasformazioni notevoli. Infine, si ha bisogno del cinema perché è un pezzo d’arte e un film è un’avventura che ha un inizio e una fine, ha una relazione molto intensa con tutte le persone con cui si lavora e c’è sempre un punto interrogativo che riguarda la gente che vedrà il film. Il cinema è bello perché è la rappresentazione di tante persone che si incontrano per assistere a uno spettacolo.
Cosa ti affascina di “Un Posto Al Sole”?
Mi piace l’atmosfera, conosco tanti attori che hanno fatto e fanno parte di “Un posto al sole”, ho fatto diverse cose anche con Marzio Honorato e c’è un clima di grande collaborazione, fantasia e una voglia di fare benissimo questo prodotto così longevo e che è entrato nel cuore delle persone in modo indescrivibile. È realizzato quotidianamente con una passione smisurata e con un’importante voglia di migliorarsi ogni giorno.
Che prova è stata per te cimentarti nella regia ne “La tristezza ha il sonno leggero”?
È stato interessante recitare con attori e attrici bravissime ed è bello costruire un lavoro insieme agli altri. Penso che una delle cose più belle del nostro lavoro sia riuscire a lavorare insieme alle altre persone al servizio di una storia, di qualcosa e di un’emozione che si deve regalare al pubblico. Da regista è bello essere insieme ad altri creativi, ascoltare tante proposte, avere la responsabilità della scelta e della proposta di prendere una decisione, capire verso quale direzione andare e cosa esplorare di un personaggio.
Com’è stato dirigere attori come Serena Rossi, Stefania Sandrelli, Marzio Honorato e gli altri protagonisti?
Stefania Sandrelli è un mito del cinema italiano, una leggenda e continua a scrivere la storia. Il fatto che abbia accettato di essere nel film mi ha riempito di gioia, mi ha fatto lavorare con grandissima fiducia e la fiducia è nella proposta dell’attore. Credo che i grandi attori propongano e poi c’è la selezione che tu fai al montaggio, sul set, andando incontro alla sceneggiatura e si costruisce il film insieme agli attori. Marzio e Stefania si conoscevano e sono stati brillanti nel fidarsi e nel proporre con fantasia e arte i loro personaggi di fronte la macchina da presa e sono loro che mi hanno insegnato tanto e hanno dato una direzione al film.
E Serena Rossi?
Serena è straordinaria, c’è stato un lavoro per costruire un personaggio che era molto diverso rispetto a quelli da lei interpretati fino a quel momento, veniva dalla grande intensità di “Io sono Mia” e l’esperimento ha funzionato, perché ha costruito un personaggio spensierato ma di grande spessore, com’è lei e di grande profondità. Ha una sensibilità pazzesca che riesce a rendere ogni personaggio tridimensionale e possiede il dono di donare umanità, sensibilità e ironia ai personaggi ed è pazzesca. Il progetto è andato bene, è stato premiato con il “Ciak D’Oro” ed è stato quindi apprezzato dal pubblico.
Se fossi un giornalista che domanda faresti a Marco Mario?
Gli chiederei “Perché hai voluto fare l’attore?” e risponderei che in un certo momento della mia vita sentivo la necessità di curare la mia timidezza o esprimere una parte di me che non riusciva a venire fuori nei rapporti del quotidiano. Vedevo i grandi e mi sarebbe piaciuto diventare come loro. Mi sono appassionato al cinema perché ho visto Charlie Chaplin, Totò, Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Clint Eastwood e da ragazzino avevo questi miti. Inoltre, in teatro vidi, da piccolo, Leo De Bernardinis e Carmelo Bene, che mi hanno scombussolato tutto. Ma si tratta di passioni che riconosci come supreme.
Perché ti hanno colpito così tanto?
Leo De Bernardinis recitava contemporaneamente con due registri: il comico e il drammatico e aveva una capacità impressionante di cambiare corpo e voce in un istante. Questa sua eleganza, agilità, un modo di essere attore e atleta, istrione lo rendevano straordinario. Ma allo stesso modo lo era Gigi Proietti. Ci sono delle figure che hanno riscritto l’arte della recitazione con delle cose che sono molto più vicine al pubblico di quanto non si sia raccontato.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Significa lasciarsi andare ai sogni, alla fantasia, farsi guidare verso la possibilità che ci siano altri modi di vivere e di risolvere i nostri conflitti e non ci dobbiamo arrendere a immaginare un mondo differente da quello che esiste. La rappresentazione può costruire la realtà.
Di Francesco Sciortino