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Intervista a Massimiliano Alto: “Il doppiaggio non è prossimo alla fine” Il direttore del doppiaggio, doppiatore e dialoghista ci parla del momento attuale che sta vivendo il mondo del doppiaggio.

Mar 17, 2025

Massimiliano Alto è uno dei più stimati direttori del doppiaggio dei nostri giorni, tra i suoi lavori recenti ci sono le direzioni di “Challengers” di Luca Guadagnino, “Joker: Folie à Deux”, “Captain America: Brave New World”, da doppiatore ha, invece, prestato la voce a Sean Austin, Casey Affleck, Justin Bartha, Emile Hirsch, Dominic Monaghan e al personaggio di Aladdin nell’amatissimo classico Disney. Su “La voce dello schermo” lo abbiamo intervistato per parlare della situazione attuale del doppiaggio italiano e delle minacce che continuano a insidiare questo mondo, come ad esempio l’intelligenza artificiale. Inoltre, Massimiliano ci ha rivelato quali siano, secondo lui, gli aspetti fondamentali per realizzare un doppiaggio di qualità e ci ha offerto una riflessione sul mondo della musica, in cui si è cimentato, ottenendo ottimi risultati, con il suo gruppo: The Public Radar. A voi…

Salve Massimiliano, bentornato su “La voce dello schermo”. Di recente hai curato la direzione del doppiaggio di “Challengers” di Luca Guadagnino, che ti ha permesso di vincere diversi premi, tra cui l’Anello D’Oro come “Miglior Doppiaggio Generale Cinema” nella venticinquesima edizione di “Voci Nell’Ombra”…

Salve a tutti, bentrovati. Sì, si saranno sbagliati quest’anno! (ride ndr.) Scherzi a parte, è stato un momento molto carino e Tiziana Voarino è davvero una brava persona, che ci tiene molto a questo festival.

Com’è stato lavorare su questo progetto?

Mi ha fatto piacere lavorare indirettamente con Marco Costa, l’assistente di Luca Guadagnino, che ha deciso di fare dei provini sulle due voci dei protagonisti e ho apprezzato che la scelta fosse ricaduta su due doppiatori meno sentiti e blasonati. Avevo proposto sia nomi più affermati che meno conosciuti, pur consapevole che questi ultimi avrebbero fatto un ottimo lavoro e sia la Warner che Marco Costa hanno appoggiato queste scelte.

Secondo te, chi ama il doppiaggio?

Il doppiaggio è amato un po’ da tutti e un po’ da nessuno. Per quanto io sia stato molto duro nei confronti di questo mondo durante la mia carriera, credo di essere uno dei pochi che fa questo mestiere perché lo ama davvero. Ho tanto rispetto per il lavoro che faccio ed è inerente alla cosa che amo di più: il cinema. Trovo che sia indecoroso pensare di andare a tradire un’opera e non sono qui per pensare di migliorarla né tantomeno per cercare di peggiorarla attraverso il doppiaggio. Parliamo sicuramente di una scienza imperfetta, che tradisce quello che è stato fatto e non si potrà mai rendere l’opera doppiata come l’originale, ma ognuno ha il proprio metodo e il mio è più di stampo musicale.

Cosa intendi per ‘stampo musicale’?

Per me il suono è tutto e cerco di far credere che quella persona che sta usando una lingua diversa riesca a parlare nella stessa lingua nostra. Per me è importante realizzare una perfetta corrispondenza vocalica e cercherò di non mettere mai qualcuno con un’età anagrafica molto diversa da quella originale. Inoltre, è importante avere una voce il più possibile uguale alla prima perché non si può tradire più di tanto l’originale, come si faceva una volta con Marlon Brando, utilizzando la voce meravigliosa di Giuseppe Rinaldi ma molto distante da lui. Infine, dobbiamo cercare di rendere il più possibile il senso di quello che dicono i personaggi. Un conto è citare “Frankenstein Junior”, che deve far ridere e bisogna rendere le parti intraducibili in italiano; un altro è fare dire ciò che dicono i personaggi se un film è di altro genere e, in questo caso, non abbiamo possibilità di scelta.

Nel tuo lavoro è importante mostrare una certa attenzione per le regole…

Sì, penso che essere ligi a tante regole sia una forma di amore, perché non voglio tradire niente, né quello che è stato fatto dall’attore né l’intento del film. Ho lavorato spesso a stretto contatto con i registi dei film di cui ho diretto il doppiaggio e non vogliono che venga tradita una virgola.

Riguardo le recenti problematiche che hanno riguardato il mondo del doppiaggio, sono state risolte?

C’è stato il rinnovo del contratto che è partito di recente. Alcuni aspetti era giusto rivederli, per adeguarli ai tempi che si vivono, altri li trovo un po’ controproducenti e sono un po’ dubbioso su come sia stato affrontato il discorso relativo all’aumento del contratto. Si è cercato di livellare tutto, ma in alcuni casi non credo sia corretto perché a volte le differenziazioni sono importanti. Deve esserci una scala, altrimenti saremmo tutti uguali in questo lavoro. È chiaro che non tutti gli attori possano percepire quanto Favino.

Quali pensi siano gli aspetti fondamentali per realizzare un doppiaggio di qualità?

Sicuramente conoscere bene la lingua e sviscerare le conoscenze linguistiche del prodotto che si va a doppiare, cercare di rispettare il più possibile l’originale e provare sempre a osare e a sperimentare, facendo la distribuzione giusta anche con le voci da utilizzare. È importante, inoltre, circondarsi di un team giusto perché è la squadra che realizza un buon doppiaggio e, per quanto mi riguarda, l’assistente e il fonico sono fondamentali.

Si riesce a sperimentare all’interno di questo mondo?

Assolutamente sì. Rispetto a prima c’è una maggiore predisposizione alla sperimentazione perché c’è la voglia di sentire sempre di più cose diverse, ovviamente fatte bene e ben dirette. C’è una ricerca di voci nuove e lo vogliono multinazionali come Netflix, che mandano delle sollecitazioni allo studio affinché vengano integrate persone magari prima sconosciute a questo mondo e con alcune regole che riguardano l’inclusione. Da parte mia c’è sempre stata una grande apertura verso la sperimentazione, mi è capitato con “300”, che ai tempi è stato un po’ criticato anche per questo motivo. Tuttavia, credo che ci siano tanti ragazzi nuovi che meritano un’occasione per essere lanciati nel mondo del doppiaggio.

Ultimamente la tendenza a sperimentare sta portando a scegliere doppiatori di etnie simili a quelle dei personaggi o a riprodurre altri aspetti della vita reale. Credi sia necessario?

Sono d’accordo con l’intento di creare un’inclusione riguardo una parte che non veniva presa in considerazione in tempi precedenti e iniziare a farlo credo sia importante. È fondamentale sbloccare delle situazioni per cercare di includere delle persone. Tuttavia, credo che ci debba essere un match voice e una vocalità che corrisponda e non deve essere un aspetto obbligatorio nel momento in cui non è necessario. Se ho un personaggio che mi richiede, ad esempio, la vocalità di Massimo Corvo, non devo essere obbligato a chiamare un doppiatore con una vocalità più bassa perché è della stessa etnia o ha lo stesso aspetto fisico o caratteristiche che con la voce c’entrano poco, perché bisogna sempre tenere in considerazione sempre la voce e che il lavoro debba essere fatto bene. Per fare un esempio un doppiatore di colore potrebbe avere una voce più adatta a doppiare Tom Cruise rispetto a Will Smith e diventerebbe più discriminante fargli doppiare un attore di colore soltanto per il colore della pelle, non preoccupandosi del match vocale.

In principio fu il sottotitolaggio a minacciarlo, poi arrivò l’intelligenza artificiale. Eppure, il doppiaggio è ancora qua…

Sicuramente ci saranno interventi di intelligenza artificiale magari in prodotti come documentari che non necessitano di voci particolari, ma il doppiaggio di un film va ancora fatto bene, pensato in un certo modo e non mi sembra che viviamo in un periodo prossimo alla sua fine. Facendo il mio lavoro, provo a fare di tutto affinché i miei doppiaggi abbiano un’identità, un marchio di fabbrica artigianale e che non tradiscano l’originale poi, se andrà a finire male, pazienza, ma non lo posso e non lo voglio sapere perché vivo costantemente quello che ho adesso e cerco di viverlo bene.

Hai avuto modo di confrontarti con l’intelligenza artificiale?

In realtà non ho proprio visto l’intelligenza artificiale nei prodotti su cui ho lavorato. Se poi ci sarà un cambiamento di direzione, non è al momento un argomento che mi riguarda, perché non ho ancora avuto modo di toccare con mano il problema. Sto lavorando su dei film, come ho sempre fatto, e in nessuno dei progetti si è fatto riferimento all’intelligenza artificiale. Al momento, è quindi un allarmismo un po’ inutile. Magari ci sarà in futuro o sarà d’aiuto, ma credo che il doppiaggio sarà ancora fondamentale perché ha ancora bisogno di un direttore, di doppiatori etc. Poi, ovviamente, se dovessi vedere Brad Pitt parlare italiano, con un sync perfetto, direi: “pazienza, è finita”. Tuttavia, non ho visto ancora questo risultato, perché credo possa andare bene per pochi secondi ma non durerebbe un film intero.

Perché, secondo te, si parla sempre di un’arte in crisi?

La domanda che mi farei io è: “Stanno andando così bene le serie sottotitolate?”, da quanto ne so non credo vadano meglio dei prodotti doppiati e “Squid Game” lo dimostra perché inizialmente è stato rilasciato sottotitolato, ma è stato doppiato con urgenza. La seconda stagione è stata rilasciata doppiata, quante persone hanno visto i nuovi episodi in originale? Perché Netflix non ha preso la palla al balzo e ha detto: “’Squid Game’ è andato bene in originale, non doppiamo più niente”. Non vedo un doppiaggio in crisi, anzi. Sta quasi diventando un investimento per le piattaforme. Non mi sembra che gli incassi dei film proiettati in lingua originale siano superiori o quasi a quelli doppiati.

Come sta il doppiaggio italiano?

Secondo me, non è messo così male. Bisogna considerare diversi professionisti che svolgono la mia stessa professione su lavori importanti e che sono tutti degni della mia stima. Abbiamo tutti un denominatore comune dal rispetto verso il cinema all’attenzione verso l’originale. Vedo come fanno il loro lavoro, e lo fanno con grande dignità, e se devo parlare di professionisti di questo tipo non posso parlarne male. Il seriale invece è un mondo che ormai conosco meno e che vive di spaccature importanti, da serie fatte con grande superficialità e menefreghismo ad altre fatte veramente bene. Il mio lavoro nel cinema non sta andando male, mio come quello di tanti professionisti come Carlo Cosolo, Marco Guadagno, Marco Mete, Alessandro Rossi, Massimiliano Manfredi e queste persone fanno bene il proprio lavoro. L’aspetto più importante è portare a casa un risultato nel migliore dei modi.

La musica è l’altro tuo amore. Con il tuo gruppo, “The Public Radar”, avete regalato nuove emozioni con l’album “Neon Rain”. Come prosegue la tua direzione musicale?

In questi mesi ci siamo un po’ fermati. Abbiamo inciso l’album e ci ha dato una grande soddisfazione. Tuttavia, è un mondo molto complesso al giorno d’oggi e la musica per come la intendo io, che ha un valore nella storia, è morta e non c’è più. Ci sono stati gli anni d’oro e, in seguito, durante i primi anni del 2000 abbiamo capito che non c’era rimasto più molto. Oggi viviamo nel vuoto cosmico. Non tolgo nulla ai prodotti di oggi, ma è chiaro che non possiamo paragonarli ai Radiohead, agli Oasis e nemmeno a Robbie Williams.

Chi è stato l’ultimo artista o gruppo che ti ha colpito?

Sicuramente i Coldplay, ma li voglio ricordare in maniera diversa rispetto a ciò che sono adesso. Credo che sia il gruppo più “traditore” che abbia mai sentito in vita mia. Nascono come gruppo quasi intellettuale, universitario, in una nicchia di classe, con canzoni dal sapore retrò, come dimostrava “Trouble” con un pianoforte che non si utilizzava quasi più e avevano quello strascico malinconico che portava una nostalgia del passato. Adesso li trovo più un gruppo da stadio e offrono prodotti distanti anni luce rispetto ai tempi iniziali. Ovviamente, la ragione non sta dalla mia parte, perché io li ho amati quando li ho visti che suonavano nelle scalinate di Villa Giulia davanti a mille persone, oggi non si riesce nemmeno a comprare il biglietto per un loro concerto.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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