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Intervista a Matteo Oscar Giuggioli: “In ‘Hanno ucciso l’Uomo Ragno’ tra amicizia, domande e il motto di Repetto ‘dignità zero'” Terminata la prima stagione di "Hanno Ucciso l'uomo Ragno", l'attore si racconta su "La voce dello schermo" parlando di Mauro Repetto, della serie di Sydney Sibilia e di altri aspetti della propria carriera.

Nov 11, 2024
Foto di Lucia Iuorio

Si è conclusa da poco la prima stagione di “Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883” ed è attualmente disponibile on demand su Sky e in streaming su NOW. La serie di Sydney Sibilia è riuscita a conquistare il pubblico grazie all’effetto nostalgia provocato rievocando gli anni di formazione degli 883 e, soprattutto, ha avuto il merito di farci conoscere meglio Mauro Repetto, di cui abbiamo sempre saputo troppo poco, e di raccontare la storia di due amici che sono riusciti, partendo da Pavia, ad arrivare a un successo inimmaginabile. A impreziosire il prodotto, ci ha pensato un cast giovane ma interessante, da Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli ad Angelo Spagnoletti, Davide Calgaro, Ludovica Barbarito ed Edoardo Ferrario.
Abbiamo avuto l’onore e il piacere di intervistare, su “La voce dello schermo”, uno degli attori del momento: Matteo Oscar Giuggioli. Lo avevamo conosciuto in interpretazioni molto diverse tra loro come nella serie “Vostro Onore” e in film come “Billy”, “Succede” e “Gli Sdraiati”, dimostrandosi un attore molto versatile e che cura nei minimi dettagli i propri personaggi. Interpretando Mauro Repetto, Matteo Oscar ci ha regalato un’altra interpretazione degna di nota e indimenticabile. L’attore ci ha raccontato quali insidie potevano nascondersi nel diventare Mauro Repetto, dal comprendere meglio i punti interrogativi che appartengono al suo modo di essere fino al dover trasmettere nel modo giusto la sua energia. Queste e altre curiosità che riguardano Matteo Oscar Giuggioli, la sua carriera da attore e “Hanno Ucciso L’uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883” nella nostra intervista. A voi…

*Foto di Lucia Iuorio

Salve Matteo, benvenuto su “La voce dello schermo”. “Hanno ucciso l’uomo ragno – la leggendaria storia degli 883” ha avuto un successo enorme e si parla già di una seconda stagione. Cosa ha significato per te far parte di questo progetto e interpretare Mauro Repetto?

Salve a tutti, grazie. Avvertivo una grande responsabilità, soprattutto nei confronti di Mauro perché spesso i biopic riguardano persone che non ci sono più, mentre nella serie dovevo rappresentare in maniera veritiera una persona in vita. Inoltre, dovevamo rivolgerci sia ai fan degli 883 sia a chi non lo era, cercando un modo per arrivare anche a loro. Abbiamo capito che non dovevamo raccontare soltanto degli 883 ma una storia di amicizia di due ragazzi di provincia.

Uno dei grandi meriti che ha la serie è quello di far luce sull’importanza di Repetto nel duo, da te interpretato in maniera impeccabile. Si è sempre saputo molto poco di lui, è una via di mezzo tra il divertente e il profondo. Che sfida ha rappresentato da attore?

È stato molto impegnativo perché è un personaggio molto sopra le righe e porta una grande energia, bisognava rappresentarlo costruendo un ragazzo in maniera tridimensionale, con i suoi lati chiari e scuri. È stato un lavoro di equilibrio costante e in cui molte volte ho avuto paura di essere andato troppo oltre. Tuttavia, siamo stati rincuorati da Fiorello che, quando l’abbiamo sentito, ci ha detto: “Pensate che Mauro era ancora più matto!” (ride ndr.)

Mauro incarna più il lato sognatore dei due, ma nel momento in cui si pone gli interrogativi metterebbero in crisi chiunque, basti pensare a “Se tu canti, io che faccio?” e “Ma questa come la ballo?”…

Sì, Mauro rappresenta un po’ tutti noi, nel momento in cui arriviamo in un’età in cui ci chiediamo in cosa siamo bravi e in seguito riusciamo a darci la risposta che cerchiamo, ma Mauro non l’ha ancora trovata. Tutto il viaggio che ha fatto, come racconta anche molto bene nel suo libro e che mi ha aperto le porte per comprenderlo fino in fondo, dall’esplosione degli 883, al viaggio in America etc., era tutto finalizzato a cercare quella risposta lì.

Prima della serie, facendo parte di una generazione diversa, qual era la tua conoscenza riguardo gli 883?

Sono originario di Rho e conoscevo molto bene il gruppo perché, nonostante appartengano a una generazione differente rispetto alla mia, sono molto apprezzati. Ero molto preparato a riguardo perché più o meno le dinamiche che riguardano i piccoli centri sono quelle, che si tratti di Pavia o di Rho.

La serie racconta anche una gioventù a volte sacrificata per inseguire il proprio sogno. Nella recitazione, ti è mai capitato di avvertire questa insofferenza che avverte Max?

Devo dire di no, perché la recitazione è ciò che amo fare e non mi è mai pesata. Ho iniziato da giovanissimo ma più che un’insofferenza ho avvertito delle responsabilità in più. Ci sono stati dei momenti in cui mi sono sentito più grande rispetto alla mia età ed essere lì mi portava inevitabilmente a bruciare delle tappe ma erano più dinamiche di vita e non collegate al lavoro che faccio.

Cosa ti fa dire “ne vale la pena”?

Il senso di libertà che mi trasmette recitare.

Che opportunità ha rappresentato per te essere diretto da Sydney Sibilia, Alice Filippi e Francesco Capaldo?

È stato un gran lavoro cercare un fil rouge che potesse legare tutti e tre comprendendo le loro sfaccettature. Girando, mi sono reso conto di cosa volesse l’uno rispetto all’altro ed è stato un bellissimo esercizio di ascolto, di empatia e una palestra, perché ho dovuto lavorare con ognuno di loro. Sono tre registi bravissimi, è stato un piacere e un onore poter collaborare con delle persone che fanno così bene il loro lavoro.

Se fossi una canzone degli 883 quale saresti?

“S’inkazza”, la ritengo molto interessante perché appartiene all’album di transizione in cui si percepisce che loro stanno capendo cosa vogliono raccontare, cosa vogliono essere e trasmette molta energia.

Si parla già di una seconda stagione. C’è già qualcosa di definito?

Credo che possa rispondervi soltanto Sydney a questa domanda.

La serie ha lanciato citazioni interessanti che ormai sono diventate iconiche. Ce n’è una che senti ti appartenga più delle altre o un loro motto?

Mi è piaciuto molto rappresentare il concetto di “dignità zero” e il voler rompere le scatole a tutti, che secondo me, applicato con educazione e al lavoro, funziona molto bene.

Avere l’opportunità di variare e di mettersi alla prova è un aspetto fondamentale per la recitazione. Tornando indietro alle altre interpretazioni della tua carriera, in “Vostro Onore” ad esempio hai interpretato un ruolo più cupo, distante anni luce da Mauro Repetto. Quali sono state le interpretazioni che ti hanno messo maggiormente alla prova?

Ne individuo cinque: “Hanno ucciso l’uomo ragno” e “Vostro Onore” per cominciare. Poi dico “Billy”, un’opera prima di Emilia Mazzacurati che considero deliziosa. È una regista dolcissima che ha un modo di vedere il mondo singolare e crea uno scenario bellissimo che rappresenta se stessa. Ammiro come riesce a tradurre il suo modo di essere in film, ho dovuto lavorare molto sulla nostalgia ed è stato bello poter toccare quelle corde lì. Non posso non citare, inoltre, “Succede” di Francesca Mazzoleni, che è una regista pazzesca e possiede un tatto notevole nel lavorare con gli attori. Credo sia stato uno dei set che mi ha fatto crescere di più in generale e in cui sono stato diretto in maniera egregia. Infine, cito “Gli Sdraiati” che è stato il mio primo film, ero emozionatissimo e non avevo nemmeno il passaggio per andarci. Andavo sul set con i mezzi ma il primo giorno di riprese mi accompagnò mia mamma, che era molto emozionata. Ricordo che dovevamo essere all’università Cattolica di Milano alle 7 del mattino ma mi svegliai alle 5 meno un quarto. Non riuscivo a dormire, ero molto carico ed è stato bellissimo.

Foto di Lucia Iuorio

Tua mamma ti ha supportato molto nella tua decisione…

Sì, ma non perché volessi fare l’attore ma perché ha capito sin da subito che questo lavoro mi rendeva felice. Ci ho creduto caparbiamente e talmente tanto che mia mamma mi ha spalleggiato e mi ha aiutato molto.

Cosa significa per te sperimentare e passare da un personaggio all’altro?

Significa rischiare, anche il fallimento, spingere sempre sull’acceleratore e non avere mai paura di un personaggio. Non puoi giocare su di lui se temi di andare troppo verso una direzione anziché un’altra. Credo aiuti tantissimo lo studio e mi ritengo molto preciso perché amo studiare e il momento più bello del mio lavoro è la ricerca del personaggio.

In quale tipologia di ruolo ti piacerebbe rischiare molto nelle prossime interpretazioni?

Mi piacerebbe molto interpretare un altro personaggio realmente esistito, avendo la possibilità di documentarmi tanto su di lui.

Dove ti vedremo prossimamente?

Ho altri progetti in cui credo veramente tanto. I primi di dicembre uscirà un film per il cinema che si intitola “Suspicious Minds”. È molto bello, diretto da Emiliano Corapi e consiglio di andarlo a vedere. Se siete a Milano o dintorni, sarò a Rho il 6 dicembre con uno spettacolo bellissimo che si chiama “Destinatario Sconosciuto” e andrà in scena al Teatro De Silva. Dura un’ora e un quarto, realizzato per venire incontro anche alle esigenze del pubblico, ma non ne perde dal punto di vista della qualità e non ti fa mai guardare l’orologio per vedere che ore sono e quanto manca al termine. Spero che possiamo andare anche in tour con questo spettacolo. Infine, ad aprile inizierò a girare un progetto ancora top secret.

Cosa ami del teatro? Pensi che un attore possa farne a meno?

No, mi ritengo intransigente su alcuni aspetti e penso che il teatro vada fatto, obbligatoriamente. Il cinema è il regno del regista, il teatro è il regno dell’attore. Non si può fare l’attore senza aver fatto il teatro perché è lì che prendi coscienza del tuo corpo e impari tutti gli esercizi che appartengono a questo mondo. 

Se fossi un giornalista che domanda faresti a Matteo?

Gli chiederei: “Perché hai scelto questo mestiere?” E risponderebbe che lo fa per un bisogno scenico, come se fosse una necessità fisica e uno sforzo sia del corpo che della mente, che sento e che mi è richiesto.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Significa viaggiare. A volte leggiamo o guardiamo film perché la realtà spesso non è abbastanza e quando lo diventa sentiamo il bisogno di raccontarlo attraverso il cinema o i libri. Forse perché ci sentiamo incompleti avvertiamo il bisogno di ascoltare la voce dello schermo che ci fa vedere cose che non abbiamo mai visto.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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