Miriam Gagino è uno dei giovani profili che sta attirando l’attenzione degli addetti ai lavori e si sta ritagliando il proprio spazio all’interno del cinema italiano. La vedremo infatti in tre progetti molto attesi: “Petra” con Paola Cortellesi, “Ammazzare Stanca” di Daniele Vicari e “Il Richiamo Segreto” di Giovanni Galletta. L’abbiamo intervistata “Su La voce dello schermo” per analizzare il periodo interessante che sta vivendo e i personaggi da lei interpretati, ruoli non banali che rappresentano una volontà di Miriam di raccontare tematiche e stati d’animo molto profondi e inusuali. L’attrice ha parlato della serie con Paola Cortellesi, degli aspetti che ha amato riguardo gli altri progetti che la vedono coinvolta e ci ha confidato cosa significhi per lei essere una donna nel 2025. A voi…

Salve Miriam, benvenuta su “La voce dello schermo”. Presto ti vedremo nella terza stagione di “Petra”, accanto a Paola Cortellesi. Che esperienza è stata per te?
Salve a tutti, grazie. È stata un’esperienza molto interessante che mi ha permesso di girare una scena particolarmente emotiva all’interno di un luogo religioso. Non sono per niente una persona religiosa, ma il giorno in cui ho girato questa scena ho avuto quasi un’esperienza trascendentale perché mi sono calata completamente nei panni del personaggio e ho dovuto far rivivere la grande guerra interiore che stava vivendo. La recitazione riesce a darti sensazioni molto rare e credo che riuscire a percepire il dolore che prova il personaggio che stai interpretando sia una delle esperienze più emozionanti che si possano fare.
Spostiamoci di set, “Ammazzare Stanca” di Daniele Vicari quali aspetti ti ha permesso di esplorare?
Mi ha permesso di interpretare una leader femminista ed è stata un’esperienza indimenticabile. Sia in “Petra” che in “Ammazzare stanca” mi hanno tagliato i capelli ed è stato inizialmente uno shock per me. In effetti, come vedremo nel mio personaggio, le femministe degli anni ’70 dovevano avere una femminilità di un certo tipo proprio per eliminare lo stigma della sensualità attaccato solo all’aspetto fisico. All’inizio non pensavo di poter gestire un cambiamento fisico così importante. Ho fatto lunghe discussioni con Daniele, ma mi sono avvicinata al personaggio comprendendo che il mio corpo è un suo involucro e nel momento in cui lo interpreto non diventa più mio. È stata un’esperienza molto catartica e ho dovuto rivedere la visione che avevo di me stessa, mettendo la vanità in secondo piano e cominciando a vedermi come una performer capace di dare vita a storie nuove.
Com’è stato il processo di trasformazione?
Un po’ strano. Vado molto fiera del mio aspetto e portare i capelli così corti mi ha messo un po’ in crisi. È stato un percorso di crescita e di consapevolezza. Ho riflettuto su quanto fossi attaccata a un’estetica superficiale e ho iniziato ad amare molto di più la voglia di raccontare una vulnerabilità e di rendermi conto come mi possa percepire con un aspetto differente.

Un’attrice si trova più a proprio agio a raccontare più se stessa o qualcosa di distante da sé?
Sono anche un’autrice e nella scrittura molto spesso parto sempre da esperienze personali e mi trovo a mio agio a parlare di me stessa. Tuttavia, sullo schermo comprendo che sia più funzionale interpretare personaggi molto distanti dal mio modo di essere, perché la diversità mi permette di fare uno studio più approfondito sul personaggio, di capire meglio come mai sia così lontano in quel momento della mia vita e divento molto più profonda nella ricerca. Molti anni fa ho interpretato a teatro, nello spettacolo “Rumors”, un personaggio molto lontano da me: una cocainomane che aveva una relazione con due uomini e allucinazioni continue. Ho fatto un grandissimo lavoro fisico e di ricerca all’interno di questo smarrimento e credo che sia uno dei lavori più belli che abbia mai fatto a livello tecnico.
Riguardo, invece, “Il Richiamo Segreto” di Giovanni Galletta, quali aspetti ti ha permesso di esplorare?
Ho dovuto fare i conti con un personaggio che combatte una grave depressione e ha un disturbo ossessivo compulsivo. Mi si chiedeva di essere aperta a una profonda vulnerabilità tutti i giorni, sempre pronta a navigare su delle emozioni toste e non è stato facile. Credo di avere imparato da questa esperienza a gestire l’emotività e l’amore nei confronti di un personaggio che ha grandi difficoltà e ha aiutato anche me nella mia sfera privata.
In che modo interpreti donne che esplorano la psiche femminile?
Credo molto in una versione di donna molto diversa rispetto a quella che ci viene propinata dal cinema italiano, perché credo sia poco onesta e conforme più allo sguardo maschile rispetto a quello femminile. Ciò che mi interessa realizzare con i personaggi che sto raccontando in questo momento è vestire i panni di esempi femminili che siano forti e mascolini, eroine che abbracciano le loro vulnerabilità, affrontando la loro lotta apertamente, amando in maniera disarmante, auto-sabotandosi, non chiedendo mai perdono e analizzando tratti non salvifici. Mi piace interpretare donne che si distruggono per poi risorgere come guerriere.
Cosa significa per te essere donna nel 2025?
Significa essere un personaggio scomodo e irriverente, soprattutto riguardo la sessualità. Per me è molto importante esprimerla nei progetti che faccio intendendola non come strumento della gratificazione maschile ma come componente essenziale della scoperta del femminile. La donna del 2025 ha delle opportunità che prima non ha avuto ma allo stesso tempo vuole raccontare un universo femminile pieno di sfaccettature. Il cinema, secondo me, ha una grande autorità e responsabilità nel trattare queste storie, con individui molto più interessanti e profondi.
Sei anche scrittrice, cosa ti piace raccontare quando scrivi?
Ho scritto un libro, “La solitudine di chi resta”, in cui mi esprimo attraverso una scrittura molto cruda e provocatoria. Mi piace parlare dei problemi come la depressione femminile, i preconcetti maschili e femminili oppure di politica e dei problemi sociali. Adesso sto lavorando su un progetto con il mio agente che è ispirato a una mostra che ho fatto a Londra, dove si racconta il “Modern Dating”, ovvero il modo nuovo di incontrare le persone e le nuove condizioni che si vengono a stabilire attraverso le App. Mi interessano molto le connessioni e le fragilità umane.
Hai vissuto anche in America. Cosa ti ha regalato la cultura degli States?
Vivere in America mi ha trasmesso una cultura completamente diversa e credo mi abbia lasciato dei tratti distintivi soprattutto nel modo di differenziare l’attore dall’artista inteso come una persona che crea il materiale, lo scrive, lo dirige e lo rende un artista a 360 gradi. Qui in Italia spesso non ci si creano le cose da soli e ci si aspetta sempre che qualcuno ti scelga. Io non mi sento a mio agio in queste vesti. Mi ritengo una persona produttiva e che ha voglia di creare.

Ci sono altri progetti in cui ti vedremo?
Si tratta di due cortometraggi, uno che si intitola “Carne viva” in cui interpreto una protagonista che lavora in un contesto sociale che le risulta molto stretto, sia in ambito professionale che relazionale. È il primo progetto in cui interpreto una donna a cui piacciono le altre donne ed è stato molto interessante perché ho dovuto scoprire diversi aspetti della sessualità femminile che conoscevo soltanto superficialmente. Il secondo lavoro si chiama “Free Spirit”, l’ho scritto lo scorso anno, ha vinto a Los Angeles tra tantissimi progetti, è stato presentato anche a Cannes e a breve farà il giro dei festival.
Se fossi una giornalista che domanda faresti a Miriam?
Le chiederei quali sono gli artisti che ammiro e risponderei Brit Marling, Phoebe Waller-Bridge e Lena Dunham. Le vedo come donne che hanno un’idea simile a quella che ho io di autenticità e profondità.
Riusciresti a individuare un film e una serie tv con cui sei cresciuta?
Direi “I Goonies” e “Friends”.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
La voce dello schermo mi ha sempre fatto compagnia. Non saprei come vivere senza i miei film e le mie serie tv che mi accompagnano durante la giornata.
Di Francesco Sciortino