“La vita non è un film” cantavano gli Articolo 31 ma, evidentemente, non avevano fatto i conti con Mirko Frezza. L’attore romano, al cinema dal 25 luglio con “Amici per caso” e amatissimo Furio della serie cult “Rocco Schiavone”, non ha mai nascosto la storia della sua vita ed è la dimostrazione che la vita può essere anche un film. Il film in questione si intitola “Il Più Grande Sogno”, è diretto da Michele Vannucci e ha proprio Mirko come protagonista nel raccontare la sua storia a fianco di Alessandro Borghi.
Abbiamo intervistato, su “La voce dello schermo”, Mirko Frezza con il quale abbiamo fatto un’interessante chiacchierata, partendo dal film di Nardari, passando per le esperienze in “Un Professore 2” e “Rocco Schiavone” fino ad arrivare agli inizi della sua carriera, dagli anni come capogruppo degli attori, ai ruoli da stuntman fino ad arrivare al film sulla sua vita. Una storia di un attore e di un uomo che ha saputo prendere in mano la propria vita e ottenere il proprio riscatto anche quando tutto sembrava buio. A voi…
Salve Mirko. Benvenuto su “La voce dello schermo”. Partiamo da “Amici per caso”, nelle sale dal 25 luglio. Cosa ti ha colpito di questa esperienza?
Salve a tutti. Grazie. Mi sono divertito tantissimo sul set. Max (Nardari ndr.) è un regista un po’ sui generis, che fa gruppo, a cui piace sperimentare assieme agli attori, dando loro libertà di poter fare qualcosa al di fuori di quello che scrive, essendo anche lo sceneggiatore del film. È anche musicista e produttore: fa tutto! (ride ndr.) È un film e una commedia molto divertente, mi è piaciuto molto dopo aver visto una proiezione privata e sono rimasto molto contento di quello che abbiamo fatto. È una commedia divertente, che invita ad accettare le diversità, con un gioco di equivoci tra i personaggi che li sprona a instaurare dei rapporti tra loro.
Cosa ti ha colpito del tuo personaggio, Caciara?
Sono stato un po’ così da giovane, un uomo divertente, che mi ricorda i miei amici di quartiere più folkloristici ma che, se li ascolti veramente, possiedono anche una spiccata sensibilità. La dimostrerà anche lui ed è un personaggio che evolverà, inizialmente ottuso, che pensa che l’omosessualità sia una malattia e che può essere pure contagiato soltanto frequentando una persona omosessuale, ma che poi riuscirà a capire tante cose.
Com’è stato cimentarti all’interno di questa commedia?
La commedia mi piace tanto. Mi ero già messo alla prova in questo genere con Max Giusti in “Appena un minuto”, assieme a Paolo Calabresi, Herbert Ballerina e con la regia di Francesco Mandelli e mi ero divertito tantissimo. Credo di essere adatto per la commedia, nonostante mi abbiano affidato quasi sempre ruoli da cattivo, e ritengo che continuando in questa direzione potrei dare molto di più rispetto ai personaggi che ho fatto finora.
Di recente ti abbiamo visto nella seconda stagione di “Un professore” dove hai interpretato un poliziotto…
È stato molto bello. Durante la prima stagione ero già stato contattato per fare alcune pose. Nel frattempo è diventata una serie di successo ed è una delle poche che guardo. La serie tratta argomenti di sociologia che mi hanno aiutato anche nella vita, essendo padre di tre figli. Accettai di fare delle piccole pose, ai tempi, sotto la guida di Alessandro D’Alatri, perché avevo la possibilità di sdoganare il ruolo del cattivo, mi ci sono trovato molto bene e nella seconda stagione ho avuto la soddisfazione di arrivare ai ragazzi.
Cosa pensi ti abbia lasciato un prodotto del genere?
Oggi i ragazzi mi fermano alla stazione non soltanto per “Rocco Schiavone” ma mi dicono: “Ah, ma tu sei Er Pantera! Sei quello che ha salvato Cardiotrap! Tutti vorremmo un poliziotto come te! Facevi più paura te dei camorristi”. Mi hanno scritto un sacco di cose divertenti sui social ed è stata un’esperienza molto bella. Lavorare con Alessandro Gassmann è stato un arricchimento. È una persona grata alla vita e girare con lui ti dà la possibilità di esprimerti in un modo più vero. Domenico Cuomo, inoltre, è un ragazzo davvero eccellente e d’oro e merita tutto il successo che sta avendo.
Spesso in Italia c’è la tendenza a fare interpretare una tipologia di ruolo a un attore e si fa fatica a uscirne. Hai mai avvertito questo aspetto?
Sì, in Italia c’è spesso la tendenza a essere più caratteristi e ci si concentra su pochi attori, che comunque meritano per quello che fanno. Spesso si fa un ragionamento del tipo: “Vuoi un cattivo? Prendiamo Mirko Frezza o Adamo Dionisi!”. Io, dopo 10 anni di fare questo lavoro, mi sento pronto per sperimentare altre cose, devo dire che sono capitate e sono molto soddisfatto di quello che ho fatto. Tu dirai: “Ammazza, te autocelebri?”, ma se faccio l’attore l’umiltà non è proprio il mio forte, no? Altrimenti non farei l’attore! (ride ndr.)
In quali interpretazioni recenti pensi di esserti messo maggiormente alla prova?
Adesso ho fatto “Golia” dove interpreto un ex giocatore di rugby malato di Alzheimer, insieme a Giorgio Colangeli e Pietro Da Silva, ed è stata una bella prova di attore e quando ho rivisto il film ho detto: “Cavolo, sto cominciando a capire come si fa questo lavoro”. È stato importante perché, come sapete, non vengo dall’accademia, ma ho avuto la fortuna di interpretare me stesso nel film sulla mia vita: “Il più grande sogno”, che è andato pure a Venezia. Ho fatto diciannove film in questi anni e adesso, recitando in “Golia”, e in un film in costume che si intitola “Hai mai avuto paura” ho avuto la possibilità di toccare nuove corde. Quest’ultima è un’opera prima di Ambra Principato, film italiano ma che ha un’impronta internazionale, ed è ambientato nel 1813. Interpreto un cacciatore di lupi e in costume mi sono sempre sentito a mio agio.
Il tuo ingresso nel mondo del cinema non è avvenuto direttamente dalla porta principale…
Non proprio. Il mio passato si conosce, dopo gli errori fatti in gioventù, che ho pagato, ho cominciato a quarant’anni a fare un lavoro serio. Sono diventato attore perché ho iniziato con il cinema ma iniziai facendo il capogruppo come organizzatore scene di massa in film come “Angeli e Demoni”, “Twilight” e chi svolgeva quel ruolo era di fatto chi si occupava delle comparse. Guardandomi in faccia mi chiedevano sempre se mi andava di dire qualche battuta fino a quando non incontrai Gianluca Petrazzi, uno dei più grandi stuntman oggi scomparso e iniziai a fare lo stuntman. Ma anche facendo lo stuntman mi chiedevano se avessi voglia di recitare qualcosa.
Quando pensi sia arrivata la svolta?
Una delle prime svolte è stata quando incontrai Michele Soavi, che stava lavorando sulla seconda stagione di “Narcotici” e quando mi vide mi chiese chi fossi. Gli spiegai cosa avrei dovuto fare e che alla fine avrei dovuto prendere due colpi di pistola e morire. Lui disse: “E chi lo fa morire uno così?” e mi ha fatto fare tre puntate della serie. Al termine delle riprese mi disse che stava firmando per una serie molto importante e che avrebbe voluto che ne facessi parte. Quella serie era “Rocco Schiavone”, in cui ho interpretato Furio, che mi ha permesso di farmi conoscere dal pubblico e nel frattempo usciva “Il più grande sogno”. Dal 2014 al 2017 è stata un’avventura bellissima, poi è arrivata la pandemia e ha spezzato le gambe un po’ a tutti. Ma stavo lavorando tanto, mi piaceva, sul set mi sentivo come all’interno di una comitiva e non mi stanco mai di recitare.
Hai citato Furio in “Rocco schiavone”. Cosa ami di questo set?
Amo la sintonia che si è creata tra me, Marco Giallini, Tullio Sorrentino e Francesco Acquaroli. Sembra che ci conoscessimo da trent’anni. La genuinità di questi quattro amici si percepisce tantissimo e lo avverto dai commenti dei fan della serie che mi dicono: “vorremmo tutti amici come voi” ed è un aspetto molto bello. Questo lavoro porta con sé diverse responsabilità perché vieni seguito dalla gente e devi stare attento anche a quello che dici.
E di Furio cosa ti piace?
La lealtà verso l’amicizia, la spontaneità e la sincerità. È l’amico che tutti vorrebbero, non ha una donna ma ha gli amici e penso che siano fondamentali nella vita e che facciano parte della cerchia della famiglia. Credo molto nell’amicizia.
Quanto sono stati importanti i tuoi amici nella tua vita?
Sono stati importanti in tutto: dalle esperienze negative a quelle positive e magari mi hanno permesso di uscire da quelle negative. Quando ho cominciato questo lavoro i miei amici più importanti mi hanno spinto a farlo, mi hanno spronato a continuare, dicendomi: “Dai, continua, tu sei bravo, sei nato attore”. Mi hanno appoggiato e aiutato tanto, anche quando non lavoravo e cominciavo a perdere fiducia. Sono una persona molto socievole e se sono in compagnia di dieci persone si sente la mia presenza.
In questo periodo della tua carriera, ti dà fastidio che ti facciano domande riguardanti il tuo passato?
No, anzi. Mi aiuta. Vado spesso nelle scuole e il 24 luglio sarò a Casal Del Marmo a raccontare la mia esperienza in carcere, cercando di fare capire che c’è sempre tempo per recuperare nella vita, ma se parti prima è meglio. Quando vado da questi ragazzi dico sempre: “Sono un ragazzo che viene dalla periferia” e quando vieni da certe realtà le opportunità sono poche e cerchi di far parte di qualcosa e a me quel qualcosa ha portato a fare cose di cui non vado fiero: ho commesso reati e ho fatto degli anni in carcere che mi hanno segnato tanto.
È bello vedere un interesse da parte tua nei confronti di persone che hanno passato ciò che hai passato tu…
Cerco di portare il mio messaggio ai ragazzi per provare a salvarli, perché nel mio quartiere sono cose che capitano al 70/80% di loro. Io ho avuto la fortuna di poterlo raccontare e di girare il film con Michele Vannucci e Alessandro Borghi. Abbiamo iniziato il nostro percorso professionale in quel periodo tutti e tre. È stato come andare in psicanalisi e raccontare le cose brutte che ho passato. Quel film mi è servito per metabolizzarle e andare avanti.
Tra l’altro colpisce l’aneddoto della lettura della mano…
Sì, da ragazzo, mi trovavo all’Eur con uno dei miei migliori amici, mi lessero la mano e mi dissero una serie di cose ma a cui non feci caso. Un anno dopo, andammo a processo e ci condannarono e al tribunale di Roma c’erano dei nomadi che leggevano la mano. Una di loro mi lesse nuovamente la mano, fece una faccia brutta e mi disse la stessa cosa che aveva detto la maga all’Eur un anno prima e io purtroppo c’ho creduto a causa della mia fragilità.
Morto a 33 anni e risorto. Mi ricorda qualcosa…
Sì, ma ci ho messo più tempo a risorgere, perché a 33 anni mi arrestarono, ho fatto qualche anno di galera ma mi hanno sparato dopo però! (ride ndr.) Fortunatamente, a un certo punto della mia vita, non mi chiedere come e perché, ho voluto mettere da parte l’orgoglio e scegliere l’amore per la mia famiglia.
Cosa pensi abbia contribuito con il senno di poi a “rovinarti” durante la tua gioventù?
La mia era stata una scelta. Mio padre mi mandò in una scuola per bene e voleva darmi un titolo di studio, poi sono capitate alcune cose in famiglia, sono stato tolto da questo istituto e mi sono ritrovato nel mio quartiere, la rustica, che era molto isolato. Ho scelto di fare quel tipo di vita, senza essere indotto da nessuno. Mio padre mi ha sempre spronato a fare una vita migliore, a studiare e ha sempre insistito affinché pigliassi la terza media, che arrivò intorno i miei diciott’anni.
Non c’è stato un avvenimento che ti ha fatto “sbroccare”?
Uno sì, da lì forse ho cominciato ad alzare un po’ il livello. Giocavo a pallanuoto e feci la domanda in polizia, ma non venni preso perché i miei erano pregiudicati. Questa cosa mi ha toccato, mi sono sentito già segnato e ho cercato di mettermi io contro le istituzioni, ma alla fine sono stato io a farmi male. Penso che la legge sia lenta ma piano piano arriva per tutti.
Ogni anno “Rocco Schiavone” viene accompagnato dalle solite polemiche. Pensi siano giustificate?
Ma no, è un romanzo. Non capisco perché quando certi prodotti li fanno gli americani li osanniamo, quando noi facciamo un ottimo prodotto diventa una cosa politicamente scorretta. Certo, un poliziotto come Schiavone è un personaggio un po’ insolito e particolare, ma è tratto dai romanzi di Manzini, dobbiamo rendercene conto e penso si sia ingigantita anche troppo la cosa.
Quando nelle serie si parla di carcere, come in “Mare Fuori”, cosa si percepisce?
Anche quello è un prodotto romanzato, anche perché non esistono penitenziari con maschi e femmine, però esistono storie che sono come quelle. Gli attori sono bravi, sono cresciuti nel tempo e la cosa che mi dispiace di quella serie è che i ragazzi la guardino sul cellulare sull’autobus e non sul televisore e rischiano di non vederla con attenzione. Vedo che i giovani guardano un po’ di tutto, ma non nello specifico.
Quanto è stato ed è importante l’amore della gente per te?
È molto bello. Lo avverto tramite i social, mi piacciono ma devono essere usati bene. Quando posso rispondo anche ai commenti, ringrazio dei complimenti, cerco di ascoltarli e a volte la gente mi racconta i loro problemi pensando che io abbia la soluzione e spesso la cosa mi preoccupa. Capita che per rispondere ci metto due giorni, perché ho letto di situazioni particolari e mi confronto anche con mia moglie e con i miei figli per evitare di fare danni!
Cosa pensi della direzione che sta prendendo la tua carriera?
Sono felice delle esperienze che ho fatto. Ho potuto mettermi alla prova e spero di continuare a farlo. Mi piace fare sia il dramma che la commedia. Spero ci sia un sequel di “Amici per caso”, perché si è creata una squadra, siamo stati molto bene, abbiamo girato a Terni ed è stata una bella esperienza. Spero di cimentarmi ancora nella commedia e amo l’allegria che trasmette già da quando si arriva sul set.
Se potessi rubare un ruolo a un tuo collega quale sceglieresti?
Magari il ruolo che ruberei non sarei preparato a farlo. Ad esempio mi piace molto il ruolo di Alessandro Gassman in “Un Professore” e mi piacerebbe interpretare un personaggio di questo tipo. Mi sto divertendo tanto a fare il poliziotto, anche se i miei amici mi pigliano in giro ma, in fondo, volevo entrare in polizia a 17 anni, ci sono riuscito a 52! (ride ndr.)
Hai un attore preferito da cui ti piacerebbe attingere per futuri ruoli?
Amo Christian Bale ed è il mio modello di attore ma è raro che qualcuno mi dica: “dimagrisci 20 kg, levati la barba e tagliati i capelli”. Ogni volta che ottengo un ruolo mi chiedono: “possiamo tagliare la barba o i capelli?” e rispondo: “Certo, facciamo tutto quello che volete” e poi sul set mi dicono: “Ma no, abbiamo pensato che tu sei figo così!”. Poi vedi 20 film miei in cui sembro “Ralph Spacca Internet” in tutti e con l’impressione che da un momento all’altro possa spaccare tutto!
Altri progetti su cui stai lavorando?
Sto portando in giro uno spettacolo teatrale che si intitola “Ho guardato il cielo” ed è ispirato alla canzone che ho fatto, insieme a “La Scelta”, con quattordici miei amici attori. Volevo fare una canzone per mandare un messaggio.
Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?
Il cinema trasmette tante emozioni, durante gli anni trascorsi a casa ho noleggiato quasi tutti i film delle videoteche. I film ti trasmettono tanto e la voce dello schermo devi saperla ascoltare. Ho visto “Scarface” da giovane e mi ha portato a fare danni, poi è uscito “Carlito’s Way” e dicevo “io forse lo posso prendere quel treno” e, anche se il protagonista non ce la fa, io ce l’ho fatta. Mi rispecchiavo molto e mi sono capitate le cose che sono capitate a lui e quando l’ho visto mi sentivo come dentro uno specchio.
Di Francesco Sciortino