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Mer. Apr 2nd, 2025

Intervista a Pia Lanciotti: “In ‘Mare Fuori 5’ troviamo una Wanda smarrita. Il teatro deve andare alla ricerca dell’autenticità” L’attrice, in queste settimane nella quinta stagione di “Mare Fuori” e attualmente impegnata a teatro, si racconta su “La voce dello schermo”.

Mar 31, 2025

Il successo di “Mare Fuori” continua a essere inarrestabile. La serie, diretta da quest’anno da Ludovico Di Martino e prodotta da RaiFiction e Picomedia di Roberto Sessa, si dimostra ancora in grado di tenere alta l’attenzione del pubblico e di registrare record su record sia su RaiPlay, dove è interamente disponibile, sia in chiaro su RaiDue.
Tra i grandi meriti di “Mare Fuori” c’è quello di averci fatto ammirare l’arte recitativa e l’immenso talento di Pia Lanciotti grazie all’iconico personaggio di Donna Wanda Di Salvo. L’attrice vanta una carriera con i grandi maestri del teatro come Strehler, Ronconi, Nekroŝius e Tolcachir; al cinema ci ha regalato interpretazioni interessanti in prodotti come “Zamora” di Neri Marcorè e ne “La Dea Fortuna” di Ferzan Özpetek; in televisione ha fatto parte di tantissime serie importanti e ha reso la sua Wanda in “Mare Fuori” una villain affascinante e dalle mille sfaccettature e ci ha regalato un vero e proprio esempio di come si interpreta magistralmente un ruolo così controverso.
Su “La voce dello schermo” abbiamo ritrovato Pia Lanciotti, che si è raccontata parlandoci della nuova stagione di “Mare Fuori” e di come il suo personaggio sia cambiato negli anni attraverso i registi che si sono susseguiti. Oltre a parlare della serie di successo di RaiDue, l’attrice ha analizzato la situazione attuale del teatro, che sta risvegliando l’interesse della gente, e ci ha regalato un’interessante riflessione su come questo mondo si debba approcciare alla modernità senza prescindere dall’autenticità. A voi…

Salve Pia, bentornata su “La voce dello schermo”. Ti stiamo vedendo riprendere i panni di Donna Wanda nella quinta stagione di “Mare Fuori”. Com’è stato affrontare questa lotta al potere nei nuovi episodi?

Salve a tutti, bentrovati. La lotta al potere di Donna Wanda si svolge dal carcere ma con dei fantasmi e delle paure. Deve confrontarsi con delle giovani ‘creature’ che crescono e bisogna fare i conti con ciò che ancora non si conosce.

La vediamo più agguerrita che mai, quali aspetti hai amato di questa stagione?

Ho amato qualche suo smarrimento che si vede nella seconda parte della stagione. L’assenza di Carmine dovrebbe sentirsi, ma nella prima parte non si è percepita, tranne in un momento in cui chiede: “Come sta Carmine?”. Tolto il figlio, sembrava non avere un punto debole ma, in realtà, questo la sta scavando da dentro.

Hai vissuto il cambio di registi: da Carmine Elia a Ivan Silvestrini fino ad arrivare al nuovo “Mare Fuori” di Ludovico DI Martino. Che differenze hai notato tra i vari registi?

Carmine è pericoloso, nel senso più bello del termine! (ride ndr.) Ivan è un’anima armonica, quello che lui tenta di fare è creare e portare armonia. Ludovico ha la sfrontatezza e il talento della giovinezza ed è estremamente misterioso.

Secondo te, Donna Wanda è cambiata attraverso i registi?

È cambiata molto nel corso delle varie stagioni, tuttavia tutti loro mi hanno dato una grande libertà nel crearla. Ha cambiato un po’ il look, prima c’era la costumista Giuliana Cau e poi è arrivata Rossella Aprea che le ha dato un’aria più aggressiva e glamour. Ma ritengo ci sia stata un’evoluzione organica durante le stagioni.

Foto di Sabrina Cirillo

L’altro tuo mondo è il teatro. Cosa significa per te salire su un palco?

È la cosa che mi appartiene di più. È un confronto reale con la presenza e devi offrire tutto ciò che hai costruito nel tempo di prova, senza paura possibilmente, ma essa c’è sempre, per cui diventa un gesto profondo di trasformazione. La scrittura che tu affronti a teatro, senza nulla togliere alle sceneggiature, è molto più ampia, profonda e grande.

Hai vissuto il teatro di grandi maestri come Strehler, Ronconi e tanti altri. Come pensi stia cambiando questo mondo?

Credo che probabilmente maestri non ce ne siano più. Da un certo punto di vista questo genera un po’ di malinconia per chi li ha conosciuti. È anche vero che sono cambiate le persone e adesso c’è più collaborazione, soprattutto tra i giovani. C’è una possibilità di creare insieme qualcosa, mentre prima ci trovavamo tutti sotto un’ala protettiva di pensiero, di costruzione, di generatività e di creatività, che era quella del regista. Soprattutto i grandi registi, come Strehler, ammettevano una collaborazione necessaria ma marginale ed erano i veri demiurghi. Adesso c’è una maggiore collaborazione e una possibilità di ascolto diversa. Ma c’è da dire che quei registi lì mi hanno fatto vedere tra le cose più belle che gli occhi possano ricordare.

Secondo te, in questo momento, c’è più voglia di fare o di vedere il teatro?

L’aspetto che più mi sorprende è vedere che i teatri siano pieni, tutti. “Semidei”, che ho appena fatto, è andato sold out, dall’inizio alla fine, e c’erano anche molti ragazzi tra il pubblico. “Equus”, che stiamo provando, sarà anche così. Tornando alla domanda, dipende. Chi lo sa fare, lo fa. Credo sia fondamentale andare a teatro adesso, c’è una gran voglia di vedere qualcosa che vive in quel momento insieme a te e non qualcosa di precostituito, come il cinema, anche se ti può dare sicuramente delle grandi emozioni. A teatro c’è una necessità più grande rispetto a qualche anno fa.

Credi si sia riaccesa la passione per il palcoscenico?

Credo di sì, vedendo i teatri durante gli spettacoli che ho fatto, mi viene da dire: “Wow! È una vera rinascita”.

Il teatro è un mondo per certi versi ancorato alle proprie tradizioni. Come si riesce a essere innovativi all’interno di questo mondo?

Vedendo il teatro europeo non è innovativo, di più. Noi siamo molto indietro. Gli spettacoli di Milo Rau, ad esempio, hanno a che fare con l’oggi, che non riguarda la cronaca, bensì l’importanza della nostra presenza nel mondo. È, inoltre, un teatro politico nel senso più alto del termine, che ci racconta, che descrive noi umani in questo momento, con delle storie grandi di adesso, che sicuramente hanno degli echi importanti del passato, dell’antichità e dei classici. Siamo noi ad avere problemi con la drammaturgia contemporanea, quando invece possediamo un grande bagaglio e bisognerebbe farne di più. Tuttavia, le leggi del mercato sono piuttosto piccole qui in Italia e si cerca più il nome per vendere, ma in questo modo non vendi niente. Sarebbe più coraggioso proporre una storia che ci riguarda con delle persone che la sanno raccontare perché avere qualcuno che sappia farlo cambia il tessuto degli esseri umani e del nostro Paese.

Al cinema cambiano i mezzi visivi e si utilizzano effetti speciali per essere innovativi. In teatro come si riesce a dare un taglio nuovo a uno spettacolo?

Secondo me, non è una questione di essere nuovi o vecchi perché, al di là degli effetti, proiezioni, ologrammi e luci, la fonica è diventata magnifica. Ormai c’è la tendenza ad avere sempre i microfoni e forse avviene perché gli attori non sono tanto abituati a portare la voce, che significa avere uno sguardo più lontano, sentire un corpo più grande e avere un cuore che sa abbracciare di più. La tecnica del portare la voce è una conseguenza di questa percezione di sé e di quello che c’è intorno. Adesso i microfoni ci sono anche perché il rumore dell’ambiente è centuplicato, c’è la distrazione, la cuffia nelle orecchie e non si è abituati a intercettare delle determinate frequenze.

L’innovazione, per te, riguarda i mezzi tecnici e la tecnologia o altro?

Utilizzare una serie di fuochi d’artificio, come microfoni etc., può fare sembrare più ‘nuovo’ il teatro ma, in realtà, secondo me, la novità consiste nel ricercare un linguaggio più autentico, una verità più vera possibile nel momento in cui si offre una storia. Non sono una che ama gli artifici vocali ed espressivi. Credo che gli spettacoli debbano sempre veicolare una grande autenticità, altrimenti la gente stacca la spina. Posso anche raccontare Shakespeare o recitare Alfieri, che sono versi complicati ed esigono una grande tecnica, ma bisogna portarli nella maniera più organica e naturale possibile, perché altrimenti non arriverebbe a interessare e a incantare il pubblico.

Durante la tua carriera, ci sono personaggi che ti hanno resa fiera di averli interpretati?

Sì. Ho amato tantissimo lavorare con Nekroŝius ne “Il Gabbiano” di Čechov, all’epoca avevo ventinove/trent’anni e interpretai Irìna Arkàdina, che era un personaggio che ne aveva 45. Fu un viaggio meraviglioso. Poi, sicuramente quello della Zoppa ne “I Demoni” di Dostoevskij diretta da Peter Stein, che era una matta e un personaggio bellissimo. Sono felice di aver lavorato con Giacomo Bisordi, un giovane regista straordinario che collabora anche con Milo Rau, e abbiamo fatto lo spettacolo “Fred’s diner”. Infine, ricordo anche “Emilia” di Tolcachir. Sono alcuni dei ruoli che ho amato di più.

Chi è Pia artisticamente?

È Pia. Credo di essere continuamente in fase di definizione. Mi piacerebbe allinearmi alla parte migliore di me stessa come essere umano e a quel punto penso che la parte artistica verrà di conseguenza.

Ci sono altri progetti che puoi accennare?

C’è una miniserie che uscirà probabilmente in autunno, con la regia di Michele Soavi, che si intitola “Le libere donne”. L’ho trovato un progetto molto bello, con un’ottima scrittura e una compagnia di attori molto interessante. Il protagonista è Lino Guanciale, che interpreta un personaggio realmente esistito, il medico Mario Tobino che umanizzò il manicomio femminile durante la Seconda Guerra Mondiale. È una storia importante, interpreto un’ex cantante d’opera che era stata rinchiusa perché probabilmente aveva parlato contro il fascismo.

 

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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