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Intervista a Riccardo De Rinaldis Santorelli: “L’adolescenza non è un gioco da ragazzi” Il giovane protagonista di “Vivere non è un gioco da ragazzi” si racconta su La voce dello schermo parlando della serie e di come abbia vissuto la propria adolescenza.

Mag 22, 2023

Stasera e lunedì prossimo andranno in onda su Rai 1 le ultime due puntate di “Vivere non è un gioco da ragazzi”, serie scritta da Fabio Bonifacci e diretta da Rolando Ravello con protagonisti Stefano Fresi, Nicole Grimaudo e Riccardo De Rinaldis Santorelli.
Per continuare il nostro viaggio all’interno della serie abbiamo intervistato Riccardo De Rinaldis Santorelli, giovane ma che ha già alle spalle un curriculum di tutto rispetto avendo lavorato in set importanti come “Non mentire” e “Luce dei tuoi occhi” e che presto vedremo ne “La lunga notte” di Giacomo Campiotti. Riccardo si è raccontato su “La voce dello schermo” parlando degli aspetti più interessanti che riguardano “Vivere non è un gioco da ragazzi” e di come un prodotto del genere possa aiutare i giovani a non commettere errori con leggerezza. L’attore ha anche ricordato la propria adolescenza e di come abbia dovuto fare i conti con il bullismo. Una storia e un percorso interessante che ha portato Riccardo a diventare uno dei giovani più interessanti del panorama italiano. A voi…

*Foto e copertina di Martina Scorcucchi

Salve Riccardo, benvenuto su “La voce dello schermo”. Stasera va in onda la seconda puntata di “Vivere non è un gioco da ragazzi”. Quali aspetti ti hanno colpito di questa esperienza e di Lele?

Salve a tutti, grazie. Mi ha colpito sin dal primo momento la storia e il modo in cui Rolando Ravello ha saputo raccontare le vicende. Mi ha affascinato il cambiamento e la crescita del mio personaggio durante la serie. Lele deve confrontarsi con un errore che molti ragazzi fanno: non pensare alle conseguenze delle proprie azioni. Mi ha emozionato tanto interpretarlo e, quando ho finito di leggere la sceneggiatura, avevo le lacrime agli occhi. È stato bello raccontare questa storia, senza retorica e ci siamo divertiti tantissimo a girarla.

Com’è stato dal punto di vista emotivo rendere gli stati d’animo di Lele?

È stato un po’ complicato staccarmi da lui, ho lavorato molto sul personaggio ed era un po’ come vivere le sue stesse emozioni. Mi vedevo brutto, stanco, vivevo continuamente nei suoi pensieri e nei suoi sensi di colpa. Non è stato facile inizialmente. Per fortuna ho avuto dei compagni di viaggio straordinari che mi hanno aiutato a rendere tutto molto naturale.

Dal punto di vista interpretativo, invece, quali pensi siano state le difficoltà dell’interpretarlo?

È stato impegnativo rendere il suo cambiamento e la sua costante tristezza. C’è una frase significativa che gli dice la madre: “Non sei più tu, non giochi nemmeno con tua sorella né a calcio…”. Lele è come se si creasse uno scudo dove ci sono soltanto i suoi pensieri ed è stato un aspetto interessante e complicato da raccontare.

*Foto di: Giulia Bertini

Cosa significa per te essere responsabili in adolescenza?

Come racconta anche la serie, significa rendersi conto delle conseguenze che potrebbero avere le nostre azioni. Quando diventiamo responsabili diventiamo adulti e maturi e secondo me questo processo passa anche attraverso il dialogo con i nostri genitori. Ritengo sia fondamentale essere trasparenti il più possibile con loro. Quando viene a mancare il confronto con i genitori è come se questo processo si bloccasse e non si raggiungesse presto una maturità.

Come hai vissuto la tua adolescenza?

Devo dire che, al contrario di Lele, sono stato sempre molto riflessivo. Temevo un po’ il giudizio della gente, forse a causa di traumi passati legati al bullismo che ho subito quando ero piccolo e che subisce gran parte di ragazzi.

Come sei riuscito a superare questi momenti?

Non è stato facile. Non mi aprivo molto con i miei genitori e non raccontavo ciò che mi succedeva. Ho affrontato questa situazione principalmente da solo. Inoltre, ho fatto e faccio ancora oggi alcune sedute da uno psicologo. Ci tengo a raccontarlo perché parlare con uno psicologo non significa essere malati, ma aprirsi e condividere le proprie storie per capire da un punto di vista oggettivo e ragionare dall’esterno. Credo che questo mi abbia aiutato molto.

Che clima si è creato con il resto del cast?

Ho legato con tutto il gruppo, sia giovani che adulti. Abbiamo un bellissimo rapporto anche fuori dal set e si percepisce anche nella serie. Eravamo complici in ogni cosa che facevamo.

C’è un aneddoto che vorresti raccontare?

Le uscite e le cene che facevamo la sera con i ragazzi a Bologna sono state molto belle. Ma una cosa che mi ha fatto molto ridere è stato quando abbiamo girato con Stefano (Fresi ndr.), Nicole (Grimaudo ndr.) e Ginevra (Culini ndr.). Ero l’unico con il musone perché era appena morto il personaggio di Mirko e stavano mangiando i tortellini. Nicole, a un certo punto, invece di infilare il cucchiaio in bocca lo ha infilato sui denti e siamo scoppiati a ridere.

Foto di: Giulia Bertini

Quali sono le altre esperienze della tua carriera che ti sono rimaste nel cuore e perché?

Ho avuto la fortuna di lavorare in diverse produzioni televisive che mi hanno lasciato tantissimo. Ho incontrato Nino Frassica, Cesare Bocci, Luca Argentero, Alessandro Preziosi, tutte persone fantastiche, piene di talento e che mi hanno insegnato tantissimo. Ho lavorato su quei set come una piccola spugna che cercava di assorbire il più possibile dal vederli in azione. Di recente il set di “Headshot” mi ha lasciato un bellissimo ricordo, perché è un mix di azione, thriller, horror. Fare un horror, che non è il mio genere preferito, è sempre più divertente che vederlo e gli effetti speciali, i costumi e il collegamento con il mondo del gaming è stato molto affascinante.

Dove ti vedremo prossimamente?

Prossimamente mi vedrete ne “La lunga notte” di Giacomo Campiotti è un’altra serie Rai, ambientata negli anni ’40 e interpreto un anti-fascista.

Se potessi rubare un ruolo a un tuo collega, quale sceglieresti?

Dico Brendan Fraser nella saga de “La Mummia”. Mi ha sempre affascinato il mondo egizio e mi piacerebbe fare un film del genere.

Ci sono tipologie di ruoli che vorresti esplorare in futuro?

Sono cresciuto guardando i film di Jackie Chan, Michelle Yeoh e mi intrigherebbe molto fare un film d’azione collegato alle arti marziali.

Sembri un ragazzo molto riflessivo. Cosa significa per te recitare e che sfida rappresenta per te?

Mi spinge molto a superare i miei limiti e amo impegnarmi sempre di più e mettermi alla prova per riuscirci.

Questo portale si intitola la voce dello schermo. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Se penso allo schermo penso al cinema. È una sensazione bellissima perché quando sono al cinema non esiste nient’altro se non quello che guardo. La voce dello schermo mi porta su un altro mondo, mi fa evadere dalla realtà e non ci può essere mondo migliore se non quello che stai guardando in quel momento.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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