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Intervista a Simona Taormina: “Vi spiego il fascino dell’essere attrice e acting coach” L’attrice e acting coach si racconta su “La voce dello schermo” ricordando le esperienze in prodotti come “Incastrati” e “L’ora Legale” e ci spiega meglio il suo lavoro da acting coach, ruolo che ha svolto anche nella miniserie “L’arte della gioia”, in uscita su Sky il 28 febbraio.

Feb 24, 2025
Foto di Alessandro Cantarini

Simona Taormina ha fatto parte di tantissimi prodotti di successo, da “L’Ora Legale” e “Incastrati” al fianco di Ficarra e Picone, alla serie “Il Cacciatore”, fino ad arrivare a “Il Commissario Maltese” di Gianluca Maria Tavarelli, prossimamente sarà nel nuovo film “Francesca e Giovanni”, che ricorda Francesca Morvillo e Giovanni Falcone con uno sguardo inedito, che vede protagonisti Ester Pantano e Primo Reggiani ed è diretto da Ricky Tognazzi e Simona Izzo. Tuttavia, Simona durante la propria carriera non si è limitata soltanto al lavoro davanti alla macchina da presa ma è riuscita a conciliare il suo lavoro di attrice con quello di acting coach. L’abbiamo intervistata su “La voce dello schermo” e ci ha raccontato le esperienze più significative della propria carriera, ci ha spiegato nel dettaglio in che cosa consiste il lavoro di acting coach, ruolo che ricopre sia nei workshop “Svelarsi”, organizzati da lei e la collega Eleonora De Luca, sia in esperienze lavorative come “L’arte della gioia”, diretta da Valeria Golino, e “Picciridda” e “L’amore che ho” entrambi di Paolo Licata. Una chiacchierata per conoscere meglio Simona nelle vesti di attrice, di insegnante di recitazione e futura regista. A voi…

Foto di Alessandro Cantarini

Salve Simona, benvenuta su “La voce dello schermo”. Presto ti vedremo in “Francesca e Giovanni”, film diretto da Ricky Tognazzi e Simona Izzo con Ester Pantano e Primo Reggiani. Che esperienza è stata per te?

Salve a tutti, grazie. È stata un’esperienza molto bella e piacevole, soprattutto perché riguarda la mia città e viene raccontata dal punto di vista di una donna: Francesca Morvillo, che è stata l’unica magistrata donna uccisa dalla Mafia. Il film è tratto da un romanzo scritto da Francesca e mi è sembrato significativo ricordare questa storia importante di Palermo, con uno sguardo differente rispetto a quelle che abbiamo già visto in tv e al cinema.

Per quanto riguarda Anna, il tuo personaggio, quali corde ti ha permesso di toccare?

È stato interessante interpretare un personaggio ancora in vita. Non sono riuscita a incontrarla ma Simona (Izzo ndr.) le parlava al telefono mentre mi trovavo con lei. È stato un lavoro molto affascinante immaginarsi questa donna, allo stesso tempo sentirla così vicina e interpretarla. Nonostante fosse circondata da gente che lavorava nel mondo della legge, era una farmacista, diversa rispetto agli altri personaggi, guardava le situazioni dall’esterno e cercava di aiutare come poteva. È stato molto stimolante vestire i panni di questa donna che dava un grande sostegno all’interno della famiglia. È una testimone delle vicende, supportava emotivamente, e non solo, la cognata Francesca ed erano amiche e confidenti.

Hai conquistato la fiducia di Ficarra e Picone in “Incastrati” e ne “L’ora legale”. Cosa porti nel cuore di questa esperienza?

Sicuramente porto nel cuore le risate, che non mancavano mai sul set ed era sempre piacevole lavorare respirando un clima del genere. I set possono essere a volte molto caotici e seri, mentre Ficarra e Picone, anche quando si presentavano imprevisti, riuscivano sempre a ironizzare, a farci ridere e a portare allegria. Sono onorata della fiducia che mi hanno sempre mostrato, nel dialogo, nel confronto e nella cura che hanno mostrato nei miei riguardi.

Si parla molto della precisione nel loro lavoro, confermi?

Assolutamente sì, riuscivano ad avere un modo di fare allegro ma allo stesso tempo mostravano una grandissima cura, precisione e attenzione verso la storia, gli attori e ciò che volevano raccontare.

Foto di Valentina Glorioso

Hai fatto parte di tanti prodotti interessanti, da “Il Cacciatore” a “So tutto di te”, quali sono da attrice quelli che ricordi con piacere, oltre a quelli già citati?

Sicuramente mi è rimasta nel cuore una scena che ho girato ne “Il Commissario Maltese” di Gianluca Tavarelli. È stata un’esperienza emotivamente molto forte, perché in una scena in particolare assistevo all’uccisione del mio fidanzato. Quello è stato uno dei primi lavori in cui ho potuto sperimentare cosa volesse dire essere un’attrice, mettendo in pratica ciò che si impara nei corsi di recitazione, in cui ci si immagina la morte di un caro per poi fare rivivere quelle emozioni nella scena.

De “Il Cacciatore”, invece, cosa ti ha colpito?

Anche quella è stata un’esperienza molto intensa, perché in quel caso veniva ucciso il mio personaggio. Ricordo una scena drammatica e dolce allo stesso tempo, perché tenevo un bambino tra le braccia e mentre mi trovavo con la mia famiglia arrivavano dei proiettili. Ricreare emozioni del genere mi ha molto colpito e mi ha trasmesso tante emozioni.

Hai girato due corti con un regista molto interessante: Davide Vigore. Il primo “La bellezza imperfetta” e il secondo, più recente, “Venera”. Com’è stato lavorare con lui? 

Davide per me è un grandissimo regista e sono sicura che farà grandi cose, come si percepisce già dai cortometraggi. Ha una visione ‘sorrentiniana’ ma anche molto personale. Ho interpretato Fiammetta, una ragazza alternativa, ribelle che ha un incontro a tre con il personaggio di Venera e con un uomo. Ho esplorato per la prima volta il tema della fluidità e della bisessualità. È stato molto interessante e affascinante girare questo corto che richiama per certi versi a “The Dreamers” e per altri a “Parthenope”.

Riguardo la tua vita da acting coach, cosa significa fare questo lavoro?

Principalmente sostenere e aiutare un’altra persona che ti chiede di vedere dove lui non riesce e lavorare per fare uscire in lui le potenzialità attoriali ed estrapolare tutte le informazioni ed energie di una scena per ottenere un’interpretazione più calzante. È un lavoro di ricerca, di analisi attoriale e umana perché ognuno ha la propria storia, personalità e attitudine. È necessario entrare in empatia con chi si ha davanti e fare del proprio meglio.

Di recente hai lavorato ne “L’arte della gioia” e ne “L’amore che ho”. Come cambia il mestiere dell’acting coach nei vari progetti?

Ho iniziato a fare l’acting coach sul set di “Picciridda” di Paolo Licata e nel quale ho seguito la protagonista, che aveva undici anni. Da lì, ho fatto l’acting coach in sei film e oggi mi occupo anche di questo sia con i bambini che con gli adulti. L’approccio cambia molto in base alla fascia d’età. Ne “L’amore che ho”, un film su Rosa Balistreri e sempre di Paolo Licata che uscirà prossimamente, ho lavorato con le bambine. Ne “L’arte della gioia”, che uscirà il 28 febbraio su Sky, eravamo due acting coach: io e Filippo Luna. Ho collaborato con la bambina protagonista ma sono rimasta due mesi sul set e ho avuto l’opportunità di lavorare anche con Valeria Bruni Tedeschi, ho seguito per il siciliano molti attori non del luogo, la preparazione delle scene e ho potuto comprendere la psicologia dei personaggi per capire quali strategie utilizzare per girare.

Foto di Valentina Glorioso

Perché ha significato tanto per te fare parte di un’esperienza come “L’arte della gioia”?

È stato importantissimo per me perché stare così tempo a contatto con artisti come Valeria Golino e tutti i grandissimi professionisti, sia la troupe che gli attori, mi ha dato modo di imparare tantissime cose e sono onorata e grata di aver fatto parte di questo progetto, che è tratto anche da uno dei miei romanzi preferiti e Modesta è uno dei personaggi più belli della letteratura. Inoltre, questa esperienza mi ha fatto venire voglia di cimentarmi nella regia, perché stare dietro al monitor, con professionisti così tanto stimolanti, mi ha attivato nuovi desideri.

Come pensi di approcciarti al mondo della regia?

Iniziamo con un cortometraggio, ho già in mente un paio di soggetti e devo capire quale scegliere e sviluppare. Il mio lavoro consiste tanto nel seguire gli attori e mi interessa utilizzare un tipo di regia che diriga gli attori.

Seguire gli attori o essere un’attrice? Questo è il dilemma…

Penso si possano fare entrambe le cose, stando molto in ascolto con ciò che arriva e continuando a fare i progetti che piacciono. Sono due lavori che amo entrambi, in questi ultimi anni, il lavoro dell’acting coach mi sta prendendo particolarmente sia con i workshop sia con le esperienze che arrivano e che sono sempre molto stimolanti.

Stai seguendo un workshop con la tua collega Eleonora De Luca, “Svelarsi”. Cosa puoi dirci a riguardo?

È un progetto desiderato da tanti anni, ma si è concretizzato in seguito all’incontro con Eleonora, che condivideva l’idea. Abbiamo unito le forze e i desideri e abbiamo creato “Svelarsi” che è ormai una realtà consolidata a Palermo e la stiamo portando anche a Roma. Sono dei workshop di recitazione cinematografica che conduciamo mensilmente con due fasce d’età differenti, una da otto a quindici anni e una dai sedici in su. Abbiamo sempre classi piene, con tanti ragazzi che ritornano e che seguiamo anche al di fuori dei workshop nelle loro carriere e nei loro passi nel mondo della recitazione. È una bellissima famiglia che speriamo possa crescere sempre di più. Con Eleonora abbiamo l’intenzione di continuare a collaborare, anche per quanto riguarda la regia perché è un mondo che ha voglia di esplorare anche lei.

Come si spiega la recitazione a un bambino?

È più semplice spiegare la recitazione a un bambino rispetto a un adulto perché quando lui gioca fa quello che noi adulti dovremmo fare quando recitiamo: crederci fino in fondo, lasciarsi andare, perdersi in quel mondo, giocare e divertirsi. Bisogna entrare in contatto e iniziare a collaborare in questo gioco. La sfida consiste nel ricreare questa situazione che lui conosce molto bene in un contesto di set con tempi e condizioni diverse. Un bambino su un set può sentirsi spaesato, chiudersi, impaurirsi e stancarsi e sarà compito dell’acting coach sostenerlo. È un lavoro molto delicato, ma i bambini conoscono la recitazione più di noi.

Perché, secondo te, la recitazione si può insegnare?

Per me gli insegnanti sono persone che vedono quello che hai dentro e cercano di portarlo fuori. Li ritengo più accompagnatori di un processo piuttosto che una persona che sta dietro una cattedra, che spiega e tu stai lì ad ascoltare. Bisogna cercare di creare insieme un processo che ti permetta di fare lo stesso gioco ed essere compagni di viaggio. La recitazione si può insegnare proprio perché non è un insegnamento vero e proprio, come ce lo immaginiamo noi, ma un altro tipo di lavoro che si deve fare in due, perché è un lavoro che ha sempre bisogno di qualcuno che ti veda e che osservi quello che tu non puoi vedere.

Se fossi una giornalista che domanda faresti a Simona?

Le chiederei quale sia la cosa che le interessa maggiormente in questo mondo. E risponderei che ciò che mi interessa maggiormente da attrice e da acting coach è sondare l’essere umano e conoscere e scoprire cosa ci sia dentro l’animo umano, quali siano i bisogni, le paure e i desideri che lo muovono e perché si comporta in un modo rispetto a un altro. Ciò che cerco nella vita lo cerco nel mio lavoro.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

È una voce che zittisce i nostri monologhi interiori e il nostro flusso di pensieri e che ci apre all’ascolto di qualcosa che viene dall’esterno, ci nutre, ci fa cambiare il modo di pensare e ci fa riflettere. È uno scambio necessario.

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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