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Intervista a Tommaso Basili: “Al cinema con ‘Here After’, presto in un progetto con Scorsese. Surreale il primo incontro con Adam Driver e Michael Mann” L’attore si racconta su “La voce dello schermo” parlando del film con Connie Britton, dei prossimi progetti che lo riguardano e dell’esperienza in “Ferrari” nei panni di Gianni Agnelli.

Lug 30, 2024
Foto di Gioele Vettraino

È uscito nelle sale il 25 luglio il film “Here After – L’aldilà”, distribuito da Eagle Pictures e Paramount e opera prima da regista per Robert Salerno, che già conosciamo essendo un noto produttore di tantissime pellicole di successo del cinema americano. Nel cast troviamo Connie Britton, Freya Hannan–Mills, Giovanni Cirfiera e Tommaso Basili. Abbiamo avuto il piacere di intervistare proprio Tommaso Basili, che in “Here After” interpreta Ben Romano, un dottore esperto di situazioni al confine tra vita e la morte. Tommaso ha parlato del film appena uscito, di cosa abbia significato per lui recitare con Connie Britton e anticipato i prossimi progetti in cui lo vedremo, da una serie che riguarda Martin Scorsese fino a una commedia per Netflix. Ma non è tutto, l’attore ha anche raccontato il primo incontro con Michael Mann e Adam Driver nel film “Ferrari”, in cui interpretava Gianni Agnelli. Un vero e proprio periodo d’oro per l’attore, che si è raccontato su “La voce dello schermo”. A voi…

Foto di Gioele Vettraino

 

Salve Tommaso, partiamo da “Here After”. Presentiamo un po’ il film e cosa ti ha colpito di questa esperienza?

Salve a tutti, grazie. È stato bello lavorare con una produzione americana in Italia ed è sempre magnifico quando succede. Non definirei “Here After” un horror puro, ma ha degli elementi di questo genere, del thriller psicologico e tendente all’esoterico. Non avevo mai lavorato su un film del genere e le tematiche affrontate sono molto interessanti. Inoltre, far parte dell’opera prima di Robert Salerno, che è una persona squisita e lo conosciamo tutti come produttore, mi ha fatto molto piacere ed è stato molto interessante.

Da attore quali corde ti ha permesso di toccare?

Interpreto un medico esperto di situazioni pre-morte e credo sia un argomento che porta grande curiosità a tutti noi. È stato molto interessante interpretare questo personaggio che dà quasi una risposta alla domanda “cosa c’è dopo la vita?”, vive all’interno della domanda stessa e che ha a che fare con pazienti che credono di essere stati nell’aldilà per poi tornare. Ho avuto modo di toccare le corde dell’empatia, altre più scure, che mi piace molto esplorare ed è un film molto intimo e a tratti drammatico. Trovo sempre stimolante percorrere questa via piuttosto che quella della leggerezza e dell’umorismo.

Com’è stato affiancare Connie Britton?

È stata per certi versi una scuola perché ha un modo di lavorare che non avevo mai visto prima e il risultato si vede. La trovo incredibilmente brava, ma non perché non mi aspettavo lo fosse ma perché è molto incisiva ed è un’attrice con la ‘A’ maiuscola. Lavora in un modo suo, che non avevo mai visto, è estremamente professionale ed è anche facile lavorare con lei. È un’attrice generosa, è lì con te e non pensa soltanto a sé stessa.

C’è qualche episodio di questo set che ti è rimasto particolarmente impresso?

Ci sono delle scene girate all’interno di un ospedale abbandonato al centro di Roma, il Fornanini. Le abbiamo girate di notte e non esagero a dire che avevo paura. Il set si presta a questo stato d’animo e se ripenso al percorso a piedi dal parcheggio ai corridoi mi vengono i brividi e mi ha impressionato, essendo fermo a trent’anni fa, con stanzoni pieni di faldoni, ambulanze parcheggiate da decenni e oggetti vari. C’era un punto in cui per illuminare la stanza avevano usato delle candele e io pensavo facessero parte della scenografia, invece erano soltanto un modo per farci arrivare a destinazione. Ma devo dire che era molto impattante, mi sono fatto un giro da solo e non mi sentivo tanto comodo. Era un horror nell’horror, una situazione surreale.

Cosa possiamo dire del film “La dolce villa”, che andrà su Netflix USA?

È diretto da Mark Waters, una produzione statunitense ed è una commedia romantica in stile americano, con un cast misto, tra cui Violante Placido e tantissimi bravi attori. Il film racconta l’Italia, essendo girato in Toscana, anche in modo divertente, è un prodotto leggero e interpreto un personaggio quasi di disturbo per la storia.

Inoltre, sarai in un progetto che riguarda Martin Scorsese: “Martin Scorsese Presents: The Saints” ricoprendo un ruolo da antagonista…

Sì, si tratta di una serie prodotta, presentata e narrata da Martin Scorsese. È epico-storica che racconta persone che hanno cambiato la storia del mondo e poi sono diventati dei santi. Sono diversi capitoli, ogni capitolo è un mondo a sé stante e non è legato all’altro, tranne che per il fatto che si parla di un santo. Gli attori che parteciperanno a questa serie sono tanti, i protagonisti sono i santi e io sono un vero e proprio antagonista. È stata un’esperienza meravigliosa, in costume, abbiamo girato in Marocco, vedendo set pazzeschi ed è stato incredibile. Una scrittura sublime e non credo di aver mai letto qualcosa di così ben fatto. Sono molto grato di averne fatto parte e quando si parla di Martin Scorsese non serve aggiungere altro. Dovrebbe uscire negli Stati Uniti divisa in due parti: una tra ottobre e novembre e l’altra in primavera, in Italia credo arriverà prima o poi.

Hai avuto modo di esplorare progetti internazionali e progetti italiani, che differenze hai notato tra questi mondi?

Trovo che noi italiani siamo molto più bravi a gestire i problemi inaspettati, tutto ciò che succede e non dovrebbe succedere e siamo molto creativi nel risolverli, mentre gli americani sono molto più bravi a non farli succedere proprio, trovo una minima differenza di organizzazione ma credo non abbiamo niente di meno rispetto a loro. Magari siamo meno rigidi e ogni tanto un po’ più caotici mentre gli americani e i britannici più organizzati.

Sei stato Gianni Agnelli in “Ferrari” diretto da Michael Mann con Adam Driver e Penelope Cruz… Cosa porti nel cuore di questa esperienza?

Porto l’euforia e la felicità di aver fatto parte di un film del genere e, che piaccia o no, la qualità è indiscutibile, parliamo di un cinema di alto livello ed è innegabile. Aver lavorato con Micheal Mann che è un genio del cinema americano e un punto di riferimento è un grande motivo di orgoglio per me.

Ti ricordi come sei riuscito a ottenere la parte?

Mi ricordo che feci un self tape da remoto ma non mi sarei mai aspettato di essere scelto. Dopo un mese, mi richiamarono per un call back con altri attori finalisti. Venni a Roma aspettandomi la casting director, invece mi trovai di fronte Mann per prepararmi a fare la mia parte e mi disse: “Dammi un secondo che è venuto l’attore per farti provare le battute ed è andato un attimo in bagno”, nel giro di due minuti mi trovai Adam Driver davanti. È stata un’esperienza surreale. Anche lui è molto gentile, disponibile e credo di aver perso un kg e mezzo in un quarto d’ora. Mi ricordo che, finito il provino, salutai tutti, feci una passeggiata e penso che lui mi abbia scelto dieci minuti dopo perché mi arrivò un messaggio in cui confermava che avevo superato il provino. Credo di essermi messo a piangere dalla felicità (ride ndr.).

Quando un attore si trova di fronte progetti di questa portata, qual è lo stato d’animo che l’accompagna? È intimorito? Elettrizzato?

Credo sia un mix di sentimenti contrastanti. Dico sempre che il nostro lavoro è un percorso di vita perché interpretare una parte di un film è soltanto la punta di un iceberg di un procedimento che deve avvenire prima, che è fatto di tanti step e che a loro volta sono un miscuglio di emozioni contrastanti. Quando un attore vuole tanto una parte, se riesce a ottenerla, nel momento in cui ce la fa, sembra toccare il cielo con un dito. Un quarto d’ora dopo, però, comincia il terrore perché arriva il momento di far fede a ciò che ha promesso. Un provino è una promessa, se va bene significa che tu devi riportare un qualcosa che sia allo stesso livello, se non meglio, di ciò che aveva fatto vedere in precedenza. È chiaro che, quando si parla di registi di questa portata, ci si prefigge sempre di dare il massimo. Quando si ottiene la parte c’è sempre tanta felicità ma anche tanta paura, non è mai un sentimento unico.

Tra le altre esperienze che hai fatto, ce n’è una a cui sei maggiormente legato e perché?

Sì, ovviamente ogni esperienza è importantissima perché non c’è mai un lavoro uguale a un altro. Tuttavia, quando ho fatto “L’impero Ottomano”, che è uscita anni fa su Netflix, mi sono divertito tantissimo. Sono un amante delle serie storiche ed è stato il mio primo ruolo da co-protagonista. Interpretavo Costantino XI Paleologo, l’ultimo imperatore bizantino d’oriente. È stata un’esperienza meravigliosa, anche questa preceduta da momenti di terrore, ma la preparazione, il trovarsi bene sul set, con dei costumi e location epiche mi hanno fatto dire: “Che bello!”. Durante una notturna siamo andati nelle mura antiche di Istanbul, e ho avuto la possibilità di fare un bel monologo, in un cortile enorme, illuminato da torce, con tantissimi soldati davanti a me, un eco naturale e con un’acustica da anfiteatro romano. Sono salito in cima a pronunciare un’incitazione a non soccombere agli ottomani che stavano oltre questo muro. Io stesso ho avuto la pelle d’oca e ho ringraziato l’universo per essere stato lì in quel momento.

Se potessi rubare un ruolo a un tuo collega quale sceglieresti?

Una tipologia di film che mi piacerebbe fare è quello di avventura, che penso siano rimasti agli anni ottanta/novanta. Eppure è un genere che, se è fatto bene, funzionerebbe molto. Se potessi fare “Indiana Jones” ti direi quello. Lo adoro, ritorno bambino ogni volta che lo rivedo e mi piacerebbe farlo con lo stile di venti o trent’anni fa.

Se fossi un giornalista che domanda faresti a Tommaso?

Chiederei quale sia il vero motivo che lo porta a fare questo lavoro. Risponderei con tre risposte. La prima che sono italiano ma cittadino del mondo, non sono mai riuscito a categorizzarmi con un gruppo soltanto e omogeneo di persone e mi è sempre piaciuto spaziare, quindi credo che questo lavoro si allinei con questo mio modo di essere e che mi porta a fare qualcosa di diverso, con persone differenti e luoghi inediti. La seconda risposta è che sono una persona che si annoia molto e questo lavoro ti porta a non annoiarti mai, perché è impossibile. La terza. Invece, perché adoro l’intrattenimento e in me c’è una persona che ama la rappresentazione del mondo e la magia in cui viene descritto. Trovo che fare l’attore, apprezzare i film e vederne il risultato finale sia come vedere il mondo con gli occhi di un bambino, dove tutto è enfatizzato. Preferisco vivere all’interno di questo mondo perché trovo che aggiunga tanta poesia alla vita.

Questo portale si intitola “La voce dello schermo”. Cosa significa per te ascoltare la voce dello schermo?

Credo che non ci sia nulla di più potente e convincente del connubio tra suono e immagine, lo schermo è ciò che lo rende possibile ed è il ciondolo attraverso cui avviene l’ipnosi.

 

Di Francesco Sciortino

By lavocedelloschermo

Francesco Sciortino, giornalista pubblicista dal 2014, appassionato di serie tv, cinema e doppiaggio. In passato cofondatore della testata online “Ed è subito serial”.

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